La “perpetua sorgente del bello”. Manzoni a scuola e i suoi bizzarri detrattori.

Chi si recasse oggi nei “luoghi manzoniani”, da Lecco a Bergamo, stenterebbe a riconoscere lo sfondo delle principali vicende narrate nei “Promessi sposi”. Sarebbe interessante portarvici lo stesso Manzoni, il quale – era un maniaco della documentazione – nel suo romanzo ama descrivere, con una puntigliosità da guida turistica Bradshaw, ogni minimo cambiamento tra la Milano del Seicento e quella che il lettore ottocentesco aveva quotidianamente davanti agli occhi. Senza sottolineare l’ovvietà del fatto che i secoli facilmente cambiano la fisionomia dei luoghi, con rare eccezioni, il viaggiatore “duemilesco” (sul dizionario non c’è, ma facciamo pure il giochetto di “petaloso”), si troverebbe di fronte ad uno stravolgimento quasi totale. A Lecco hanno provato a rimediare con un “Parco Addio Monti” sulle rive del lago, ma i dintorni sono un’orrida mistura di capannoni e palazzine senza garbo e senza identità, potreste trovarvi ovunque; “Quel ramo del Lago di Como che volge a Mezzogiorno” finisce nel peggiore dei suburbi. Altrettanto scoramento il viaggiatore motivato proverebbe nell’individuazione del monastero di Monza, sovrastato da un palazzaccio che ha la grazia di una scarpiera in salotto. Forse solo Bergamo Alta si può ammirare dall’Adda simile a quella che era, ma da quelle parti le giornate senza smog in un anno si contano sulle dita di mezza mano, per cui bisogna essere fortunati e pure abili, cercando l’orizzonte tra il muro dello “Sterzomarket” e le torri elicoidali della   “Sgorgalavandino City”. Precisiamo che questi empori dai nomi fantasiosi sono frutto dell’immaginazione dello scrivente, ma sotto il cielo di Lombardia, che fu “così bello”, un cultore dell’orrido potrebbe oggi trovare anche di peggio dal punto di vista onomastico e architettonico.

Qui però non si vuole parlare di scempio del paesaggio, per cui, dopo aver annoiato i lettori imitando (male) Antonio Cederna, giungiamo al tema: la lettura di Manzoni. L’excursus paesaggistico ha avuto il solo scopo di mostrare come i “luoghi manzoniani” ormai abbiano dimora soltanto nel testo dei “Promessi sposi”, il che potrebbe diventare una ragione sufficiente per continuare a leggere il romanzo nelle scuole italiane. Si tratta probabilmente di una motivazione un po’ gracilina, ma occorre tener in conto due fattori:

  1. l’euforia da Educazione Civica che ha invaso il Ministero dell’Istruzione ha portato anche l’educazione alla sostenibilità; confrontare il paesaggio lombardo pre-industriale descritto da Manzoni con la scalmanata conurbazione dei nostri giorni potrebbe costituire un ottimo spunto di riflessione;
  2. come i balli di gruppo tormentone dell’estate, anche quest’anno non si è fatta attendere l’ennesima uscita di chi vorrebbe eliminare dai programmi scolastici la lettura dei “Promessi sposi”. L’istinto sarebbe di liquidare il fenomeno con l’efficace espressione dialettale “bóna lè” (“Basta, avete stancato”), ma l’Educazione Civica non contempla le maniere troppo spicce, quindi siamo moralmente e ministerialmente tenuti ad un approccio riflessivo.

L’ultimo e sconcertante proiettile contro Manzoni è stato sparato dai cannoni del “Corriere della Sera” da Marco Ricucci al grido di “Disastro Invalsi, Basta con Manzoni, è tempo di una nuova didattica dell’italiano”. Si tratta certamente di una provocazione, considerato fra l’altro che l’autore è un docente di italiano, ma l’intervento potrebbe essere preso sul serio e alla lettera da molti. Sulle prove Invalsi[1] non intendiamo dilungarci, probabilmente non basterebbe per intero questo spazio, tale è l’ampiezza del dibattito in corso. Limitiamoci al cuore della questione: per Ricucci tradurre in italiano corrente un testo difficile come “I promessi sposi” sottrarrebbe tempo prezioso all’acquisizione delle competenze linguistiche, tenuto conto dei tagli orari che da oltre dieci anni hanno amputato l’insegnamento della disciplina (e di altre) nei licei. Potremmo rispondere a provocazione con provocazione: sarebbe come organizzare una gita a Firenze, poi dire ai turisti che, causa sciopero dei mezzi pubblici, hanno a disposizione meno tempo del previsto, perciò niente Uffizi; si sbrigassero a fare la fila alla toilette della stazione e a mangiarsi un lampredotto, ché i bisogni fisiologici vengono prima di quelli artistico-culturali. Stendhal svenne, ma di sicuro aveva già mangiato ed evacuato; i tempi del grand tour erano un lusso che oggi, ahimè, signora mia…

Un altro illustre detrattore del genero di Agnese è stato il filosofo Umberto Galimberti, nato – pensate un po’-  a Monza, come Gertrude. Un anno fa in un incontro pubblico, dopo aver riconosciuto che quello di Manzoni è “un romanzo bellissimo” (bontà sua, nessuno se ne era accorto), sentenziava che “non puoi dare a un ginnasiale il messaggio che quello che conta nella storia lo fa la Provvidenza”. Se anche Omero, che era bravo, ogni tanto dormiva, concediamo serenamente a Galimberti di schiacciare un pisolino. Il vituperato “messaggio che c’è un disegno superiore” appare abbastanza evidente nella “Divina Commedia” e, se vogliamo cambiare parco dèi, nell’Omero di cui sopra e in Virgilio anche agli occhi di lettori come noi, distratti e con un centesimo della cultura posseduta dal filosofo monzese.

Qualche picconata al monumento manzoniano l’hanno data in tempi recenti anche Claudio Giunta, Andrea Camilleri ed Emanuele Trevi. Al primo va la palma dell’uscita più curiosa: la lettura dei “Promessi sposi” è obbligatoria a scuola dal 1870 (e con ciò, qual è il problema?) e andrebbe sostituita da quella di un romanzo che parli “anche al lettore debole” come – reggetevi forte – “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Mario Lavagetto reagirebbe entusiasta a questa considerazione; si potrebbe azzardare un sondaggio sulle spiagge italiane per saggiare le competenze di esegesi sveviana dei bagnanti, con particolare attenzione agli adolescenti svagati che non vanno oltre il paio di graphic novel l’anno. Debolucce da un punto di vista argomentativo anche le posizioni di Trevi e Camilleri. Il primo ha dichiarato che la lingua di Manzoni è “troppo distante da noi” e propone in alternativa Pushkin e Stendhal, ovviamente non in lingua originale: voglio andare in America ma ho paura di volare, perciò vado liscio passeggiando per Manhattan con Google Street View. Il creatore del Commissario Montalbano, invece, sentenziava che “la colpa è degli insegnanti, che non sanno agguantare il valore di quelle pagine”, perché evidentemente da ragazzo si è – direbbe il suo Salvo – “rotto i cabbasisi”; si noti innanzitutto la moda di sparare in blocco sui docenti, disciplina sportiva da proporre a Parigi 2024 e che varrebbe all’Italia un altro medagliere da favola; al limite il rimedio sarebbe quello di reclutare insegnanti migliori (di chi e in che?), ma la considerazione di Camilleri suona come se avesse proposto di eliminare il Canal Grande dalle mete turistiche perché gli autisti dell’ACTV guidano male i vaporetti.

Insomma, scarseggiano i pareri meditati, documentati e “sul pezzo”, come usa dirsi; vanno di moda le entrate a gamba tesa e gli sfoghi di chi ha avuto un’infanzia scolastica difficile. Non vediamo l’ora che sia il 2022 per assistere al coro di chi vorrebbe esiliare Dante dalle scuole italiane. Quest’anno, pare, nessuno ne ha il coraggio, neppure i buontemponi che ne avevano qualche anno fa denunciato inorriditi l’islamofobia. Potenza delle celebrazioni. Lasciamo il commento generale alla vittima, il bistrattato Don Lisander: “Chi, vedendo in un campo mal coltivato, un’erbaccia, per esempio un bel lapazio, volesse proprio sapere se sia venuto da un seme maturato nel campo stesso, o portatovi dal vento, o lasciatovi cader da un uccello, per quanto ci pensasse, non ne verrebbe mai a una conclusione”. Speriamo che tra i venticinque lettori di questo contributo non si sia insinuato qualche “lettore debole”. Nel caso, gli porgiamo umilmente e “giuntamente” le nostre scuse: “se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”.

Michele Borsatti

 

[1] Per i lettori francesi che non ne fossero a conoscenza: l’Invalsi, istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa.

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