Intervista a Luigi La Ferla

Parigi, tra gli edifici in stile Haussman di Rue de Rivoli, ce n’è uno che si distingue dagli altri : un arcobaleno di tubi intrecciati sulla facciata, un portone giallo e la grande insegna « 59 Rivoli », è la galleria d’arte che ospita numerosi atelier di artisti come Luigi La Ferla. In questa intervista conosceremo meglio la sua storia, gli inizi, le influenze, il suo modo di creare e le sue opere che fanno rivivere « in un atto d’amore sovversivo » una delle forme artistiche più antiche del mondo.

Ci racconti un po’ la sua storia, in quale momento della sua vita ha capito che l’arte non sarebbe stata solo una passione momentanea?

Penso di averlo sempre saputo. Da ragazzino frequentavo, durante le vacanze estive, il laboratorio di falegnameria di mio padre e mi divertivo molto a creare in un modo o nell’altro assemblaggi di legni differenti che decoravo successivamente con l’utilizzo di acrilici molto
scadenti e altri materiali improvvisati. Capitava a volte di riuscire a tradurre quello che avevo in testa ed era fantastico. Nello stesso periodo, ricordo di avere iniziato a suonare la chitarra da autodidatta. Il nonno materno Vincenzo, dietro l’intuizione e la sollecitazione di mia madre, mi aveva regalato una stupenda chitarra Echo in suo possesso. Mi sentivo destinato a qualcosa, anche se non riuscivo ancora a mettere a fuoco cos’era. Mio padre durante il suo tempo libero dipingeva spesso paesaggi e nature morte, cosa che continua a fare anche oggi. Sicuramente mi ha trasmesso quel gesto sensibile dell’osservare la vita secondo un modo semantico e non convenzionale. Dopo venne la scuola d’arte di Comiso con indirizzo scultura su marmo, l’accademia delle Belle Arti di Firenze (qualche lezione da non iscritto) e più tardi la Scuola Mosaicisti del Friuli.

Come mai ha scelto proprio il mosaico come forma espressiva?

L’arte del mosaico è entrata a far parte della mia vita molto tardi, come se avessi avuto bisogno di tempo per comprenderla veramente. Mi piace pensare che il mosaico sia un percorso e un passaggio successivo alla scultura e alla pittura. Il mosaico è un medium che interiorizza la scultura e la pittura allo stesso tempo, esso rappresenta l’unione perfetta tra queste due arti.
Aggiungo che la peculiarità di un mosaico sta nella sua capacità di accogliere e riflettere la luce. Si potrebbe dire altresì che la tecnica del mosaico è una pittura solida di luce.

Le sue origini siciliane e il patrimonio artistico dell’isola hanno avuto un’influenza sulla sua arte? Penso in particolare ai mosaici di Piazza Armerina o alla Cappella Palatina a Palazzo dei Normanni…

Sì, certamente. Da ragazzino ho avuto la possibilità di confrontarmi con l’immenso patrimonio artistico che offre la Sicilia. I miei genitori insieme ad amici organizzavano escursioni in vari siti archeologici dell’isola e non solo. Ricordo bene la mia meraviglia nella scoperta dei mosaici greco-romani di Piazza Armerina nella Villa romana del Casale, forse indirettamente la mia vocazione al mosaico è legata proprio a quel giorno.
I mosaici bizantini della Cappella Palatina al Palazzo dei Normanni furono per me la sublimazione della luce che non mi ha più abbandonato nel mio percorso artistico. La luce è vita, essa riesce a definire un’opera d’arte e ne elenca le emozioni.

Qual è la sua fonte di ispirazione? C’è un particolare stato d’animo che la invita a creare? Può raccontarci come avviene?

La mia fonte d’ispirazione è senza dubbio la società in cui vivo, il suo respiro, il suo movimento.
Il lavoro di un’artista è anche quello di osservare il dettaglio di un fenomeno sociale o emozionale e attraverso questo gesto cercare di tradurne una qualche verità.
I temi su cui insisto nei miei ultimi lavori riguardano spesso la mutazione mentale che noi tutti stiamo vivendo.
La rivoluzione digitale sta generando una sorta di accelerazione esponenziale nella vita degli individui e infatti vuole degli umani ancora più prestanti e più alienati, degli iperumani.
Il mosaico rappresenta allora un gesto che tenta di riassemblare i pezzi che stiamo perdendo per strada in nome del progresso.
Oserei dire che fare mosaico rappresenta un atto d’amore sovversivo alla velocità di superficie che ci attraversa.
Per capirci meglio, il tempo di creazione di una mia opera è molto lungo, non adatto all’immediatezza d’effetto che è richiesta oggi.
Il mosaico ha bisogno di sedimentare il gesto creativo attraverso il tempo di esecuzione e solo allora diventa potenza creativa e comunicativa.

Tra tutte le sue opere ce n’è una a cui è particolarmente affezionato e perché?

Sono affezionato a tutte le mie opere, sono le varie parti della casa o meglio del paesaggio che abito. Osservo sempre tutti i miei lavori con molta critica, soprattutto quelli meno riusciti perché sono convinto che ogni tentativo creativo è una promessa per qualcosa di interessante che verrà successivamente.
Sicuramente gli ultimi miei lavori rispecchiano meglio la mia poetica romantica e malinconica.
L’opera Google Infinito ad esempio è un elogio al nostro grande poeta e filosofo Giacomo Leopardi, ma non solo, l’opera ha in sé un’importante domanda:
il senso d’infinito che percepiamo sul vasto oceano di Google é comparabile e più esteso rispetto alla potenza vibrante di un componimento poetico?

Sappiamo che oltre al mosaico, si dedica anche alla pittura e alla musica, ha qualche altra passione nascosta di cui vuole parlarci?

Sì, sopratutto la musica è stata molto importante nella mia vita, mi ha sempre accompagnato nei momenti belli e brutti come un’amica fedele.
Una mia passione nascosta è sicuramente scrivere. Due anni fa mi sono cimentato per la prima volta nella creazione di una raccolta di poesie “Equilibri primi” che ho composto dal mio arrivo a Parigi nel 2009 ad oggi. E’ stato un lavoro che ha dato buoni frutti e mi ha permesso di proporre qui a Parigi dei reading molto singolari e improvvisati tra poeti di diverse nazionalità.

Ci sono stati momenti bui, in cui ha pensato di mollare tutto? Se sì, come li ha superati?

No, non so se è strano, ma non mi è mai passato in mente di mollare tutto, neanche per un istante, forse perché io e la mia arte diventiamo sempre di più un’ unica cosa indissolubile.

Sappiamo che da tempo vive a Parigi, può raccontarci il percorso che l’ha portata fin lì? E c’è qualche altra città in cui le piacerebbe vivere?

Parigi non è stata una scelta meditata, mi ci sono ritrovato quasi per caso, come del resto in  tutte le altre magnifiche città italiane in cui ho vissuto.
Parigi non era sicuramente la città che all’epoca richiamasse la mia curiosità, ritenevo Londra o New York, molto più interessanti, sopratutto dal punto di vista della scena musicale underground. Per fortuna le cose non sono andate così, col tempo ho capito di aver fatto la scelta giusta anche se inconsapevolmente.
Sulle città e le proprie identità ci sarebbe da dire molto ma ho paura di dilungarmi troppo. Tempo fa, nel 2016, avevo scritto un articolo dal titolo “Villes sans mémoire” che accompagnava una mia opera ”La Ville Invisible”, un mosaico esposto all’Hotel de Ville del primo arrondissement di Parigi.
In quell’articolo facevo una riflessione sulle grandi metropoli che lentamente si trasformano in enormi parchi giochi dove la memoria delle strade e dei quartieri cessa di esistere. Nell’articolo continuavo dicendo: ”una città che non coltiva memoria inocula solitudine e disintegra la ricchezza dei suoi centri di folklore urbano”.

La città dove mi piacerebbe vivere oggi oltre a Parigi?……. l’amata Firenze!

Intervista di Giusi La Russa

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