Il canyon urbano di Napoli

Da dovunque si guardi Napoli, si rimane estasiati. La vista dal mare è riconosciuta come una delle migliori al mondo. Quella dal lungomare è altrettanto strepitosa. Le vie che risalgono le colline regalano spettacolari vedute anche dall’alto. Prendiamo come esempio l’incantevole panorama dalla cima del Vomero, quindi dal Castello di Sant’Elmo. Il golfo è aperto verso l’isola di Capri, chiuso dalla penisola sorrentina e dominato dal Vesuvio, sempre accompagnato dal fido monte Somma, come fossero cavaliere e scudiero. E poi la città con le strade e le piazze, le chiese e i campanili, i palazzi antichi e i grattacieli moderni. E una sorprendente fessura che la taglia in due, che la spacca a metà. Da lassù appare stretta e buia, un canyon urbano. È Spaccanapoli, una serie di vie disegnate come un’unica linea retta.

Spaccanapoli è un concentrato degli aspetti principali che caratterizzano la città: tesori artistici, storie, tradizioni e cibo. Iniziamo dai primi. Qui sono davvero numerosi ed è assai difficile sceglierne uno solo che li rappresenti. Un po’ defilata e nascosta è la Cappella Sansevero, ricca di statue e affreschi che da soli meritano la visita. Purtroppo per loro, passano in secondo piano per lo straordinario Cristo Velato, che lascia davvero senza fiato. Il talentuoso scultore Giuseppe Sanmartino ricavò da un unico blocco di marmo la figura di Gesù tolto dalla croce, adagiato su cuscini e ricoperto da un lenzuolo, sottile al punto da ben mostrare i tratti del viso e del corpo, e perfino le ferite. È proprio il velo il pezzo forte dell’opera, grazie alla sapienza del maestro che seppe conferirgli morbidezza e sinuosità.

La cappella consente un naturale passaggio dall’arte alle storie, qui, in realtà, camuffate da leggende. Troppo eccezionale quel velo per non alimentare voci e dicerie. Il principe di Sansevero, famoso per le doti paranormali e le alchimie, fu colui che commissionò cappella e statua. Pare che il principe cavò gli occhi all’artista in modo che non potesse mai più creare altre opere di così superba bellezza. Secondo altre fonti, poi confermate false, fu utilizzato un vero tessuto per ricoprire il Cristo, reso marmoreo da un composto chimico preparato dal principe stesso.

Un storia assolutamente documentata, invece, riguarda l’antico monastero di Sant’Arcangelo a Baiano, anch’esso situato in un vicolo laterale. Purtroppo oggi è visibile solo il portone della facciata, troppo soffocata da palazzi e balconi vicini. Nel XVI secolo, il monastero ospitava un convento di suore benedettine, tra cui ragazze delle migliori famiglie napoletane dell’epoca, come Caracciolo, Arcamone, Frezza e Sanfelice. Le giovani conducevano una vita non voluta, priva di ogni libertà e colma di rigidità. Potevano resistere così per sempre? Potevano rinunciare a ciò che le loro coetanee avevano e che loro stesse avrebbero voluto? Fin troppo facile intuire la risposta negativa. Così il convento iniziò a essere frequentato da facoltosi uomini locali, diventando sede di peccati e scandali. Finché la Chiesa non avviò un’indagine che si concluse con la totale chiusura del convento, ormai luogo di perdizione. Da allora il monastero è caduto in totale stato di abbandono e nel suo desolato interno vaga un fantasma in cerca di quella libertà perduta in giovane età. Che sia la bellissima Agata Arcamone oppure la giovanissima Chiara Frezza, non è dato saperlo.

Aristocrazia e arte lasciano intendere quale fermento culturale abbia investito Napoli negli ultimi secoli. Questo aspetto spinse, a fine Ottocento, il giovane Isidoro Odin a lasciare la natia Alba per sperimentare combinazioni di sapori nella sua bottega di cioccolato, dove ogni sera, con la moglie Onorina Gay, dava sfogo alla propria passione creando prodotti perfetti per i palati più esigenti. Nel negozio di Gay-Odin ci si deve dimenticare della bilancia e provare i classici nudi, cioccolatini di molteplici varietà venduti senza essere avvolti nella carta. Prima, però, è d’obbligo una sosta in una delle tante friggitorie. Un’ottima scelta è quella di assaggiare di tutto un po’, quindi verdure e pesce, pizzette e croquette di patate e provola, tutto rigorosamente fritto, con buona pace del colesterolo. In qualsiasi momento, invece, si può entrare da Leopoldo, legato all’antica tradizione napoletana grazie ai suoi ottimi taralli. L’origine del tarallo classico risale al 1700, quando nacque come cibo povero ottenuto dagli avanzi della pasta del pane uniti alla sugna – un grasso ricavato dal maiale – e al pepe, mentre le mandorle furono aggiunte solo nel secolo successivo. A Spaccanapoli perfino i più scettici dovranno ricredersi: la gastronomia è arte.

Arte ma anche tradizione. E se si parla di tradizioni non si può non percorrere via San Gregorio Armeno. Qui è sempre Natale grazie alle infinite botteghe di artigiani che preparano, in ogni periodo dell’anno, scenari di presepi in legno e sughero, lasciando aperte le porte dei laboratori. Il frutto del loro lavoro certosino viene esposto lungo la stretta via, come un museo all’aperto di arte presepale. Di primo acchito scappa più di un sorriso a vedere mescolato sacro e profano, magari osservando la Vergine Maria accanto a Totò e il re magio Melchiorre che sembra offrire il proprio dono a Belen. Scatta, poi, la sfida a riconoscere i personaggi celebri dello spettacolo e della politica, dello sport e del mondo napoletano, come i mai dimenticati Pino Daniele e Massimo Troisi. Dopo, però, è bene soffermarsi, in particolari botteghe, sulle figure classiche, come il Bambin Gesù, Maria, Giuseppe, i re magi e altri personaggi tradizionali forse riconosciuti solo dai più appassionati, come Benino, un pastorello che dorme beato e incurante di ciò che sta accadendo. Questi piccoli capolavori sono prodotti a mano e curati fin nei minimi dettagli, con gli abiti di vera stoffa.

Naturalmente, tra i pastori non può mancare quello con il volto di Diego Armando Maradona, qui più che un mito. Il fuoriclasse argentino si è assicurato un posto nel cuore dei napoletani per l’eternità ed è tutt’oggi osannato e venerato. Se pensate sia un’esagerazione, il bar Nilo della piazzetta omonima vi correggerà. Sorseggiando un caffè – altra pietra miliare della tradizione napoletana – si può osservare l’altarino dedicato, con tanto di « capello miracoloso » di Maradona.

I duemila metri di Spaccanapoli sorprendono di continuo. Meravigliano i tesori artistici che l’accompagnano, stupiscono le storie che l’avvolgono, incuriosiscono le tradizioni che sopravvivono, delizia il cibo onnipresente, diverte il napoletano che la vive. Qui si respira Napoli, si percepisce cos’è la città, chi sono e chi sono stati i Napoletani. L’autenticità delle vie colpisce più di ogni altra cosa. La città tutta, in realtà, si mostra al visitatore esattamente com’è. Non indossa alcuna veste elegante né appariscente, non è provocante né ammiccante, non ci sono locali per turisti né strade agghindate a festa. È un po’ ruvida e caotica, ma è anche amichevole e genuina. È un po’ complicata e impudente, ma è pure pittoresca e affascinante.

« Ci sono posti in cui vai una volta sola e ti bastae poi c’è Napoli« . Così sostiene un convinto John Turturro nell’introduzione di Passione, il suo film documentario sulla città.

Massimo Cufino

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