Tra il 21 ed il 24 giugno in Sardegna si accendono fuochi purificatori, un rito legato alla terra, ai campi, al mondo agropastorale che onorava la terra gravida e feconda nel cambio di stagione. Rituali pagani che poi la religione cristiana assimila e conserva. Nella notte di San Giovanni, tra il 23 ed il 24 giugno, il fuoco illumina, purifica, indica il futuro. Falò vengono accesi in tutta l’Isola, attorno ai bracieri ci si riunisce, si siglano patti e promesse, ci si prende per mano e si salta insieme per diventare comari e compari, si taglia il fuoco, si sceglie di superare insieme questa prova e di affrontare insieme la vita che verrà. Le erbe curano e l’acqua purifica e benedice ancora di più in questo momento dell’anno. È il solstizio d’estate, il sole si ferma, si aprono le porte verso la nuova stagione, verso il futuro, verso nuove rinascite della natura che è in fiore. Il sole vince sulle tenebre, il bene trionfa sul male: acqua, erbe, terra e pietre si caricano di virtù. Le erbe raccolte dalle mani esperte delle donne (asfodelo, grappoli d’oro ginestra, lavanda, salvia, melissa, verbasco, menta, timo, elicriso e rosmarino) acquistano poteri magici e curativi, diventano medicina, farmaco ma anche incantesimo e amuleto. Le erbe raccolte la notte del 23 vengono messe nell’acqua e con questa la mattina del 24 ci si lava il volto, rito di purificazione e benedizione. L’elicriso da indicazioni sui futuri matrimoni, gli insetti che lo accompagnano indicavano le caratteristiche del consorte. Le erbe raccolte ed essiccate vengono anche bruciate ed inalate con suffumigi curativi per le vie respiratorie, mescolate in unguenti e balsami, e ancora racchiuse in involti e portate al petto come protezione. I semi delle piante lasciati macerare in acqua producono elisir di bellezza. Con l’iperico si prepara l’olio di San Giovanni usato poi per curare cicatrici ed ustioni. L’acqua viene raccolta dalle fonti e dai ruscelli nelle brocche e anticamente si teneva anche in bocca e si sputava poi nel fuoco a casa esprimendo un desiderio.
San Giovanni è il patrono del paese di Orotelli, ma qui non si celebra come nel resto della Sardegna il giorno della nascita il 24 giugno, bensì il giorno del suo martirio. Il santo morì decapitato il 29 agosto. Da un lato la messa solenne, le preghiere, i canti in onore del Santo Martire, dall’altro sopravvivono moltissimi riti, usanze e tradizioni legate a questa festa che si praticano da secoli. La tradizione del paese ci ricorda il rito de “s’imbrossinu” fatto la sera di San Giovanni: le persone andavano in campagna e si rotolavano nell’erba per allontanare dolori e malattie. La notte di San Giovanni era indicata poi per la raccolta delle erbe medicinali che si credeva acquistassero, in questo momento dell’anno, maggior potere. Come a giugno, le erbe venivano essiccate ed utilizzate per tisane, decotti, composti e fumigazioni. Per fare “s’affumentu” si coglievano erbe aromatiche come rosmarino, ruta, salvia, puleggio ecc.., si bruciavano sopra una tegola e mentre emanavano fumi si passavano in tutti gli angoli della casa per allontanare gli animali velenosi e l’invidia delle persone cattive. Un’altra usanza era quella di fare “sa meichina de sos porroso” cioè un rito per far sparire verruche e porri: si prendeva un giunco al quale venivano fatti tanti nodi quante erano le verruche, si legava a un pezzo di tegola e lo si gettava in un pozzo con le spalle rivolte verso esso, mentre si pronunciavano le parole del rito. Alcune persone, a mezzanotte, si recavano in campagna vicino a un fiume o a una sorgente e vi si bagnavano; poi prendevano una scodella d’acqua e la buttavano: una per ogni persona cara, pronunciandone ad alta voce il nome. Con questo rito credevano di allontanare tutte le malattie. Un’altra credenza era quella de “su chelu abertu” ossia “il cielo aperto”: si diceva che la notte di San Giovanni si aprisse il cielo e che si vedesse il paradiso. Molte persone si riunivano in piazza e guardavano il cielo con la speranza di vedere il paradiso appunto. A San Giovanni è dedicata la Chiesa più antica del paese, risalente al XII secolo: maestosa costruzione a tre navate, in trachite rossa. Situata sulla sommità di una collina, domina tutta la vallata circostante con il suo portale. Un portale aperto, legato ad antiche superstizioni e riti ancestrali, questo simbolo rappresenta per noi un passaggio attraverso il tempo dal quale ci sono giunte storie, voci, racconti che ci parlano di quello che eravamo e ci spiegano quello che siamo ora.
Alessandra Derriu