Fra aneddoti e polemiche i Bronzi di Riace festeggiano i loro primi cinquant’anni

Se mi venisse chiesto dov’ero il 16 agosto di cinquanta anni fa, senza esitare tanto direi che me ne stavo sulla bellissima spiaggia di Roccella Jonica, il paesino dove sono nata e cresciuta. Anzi, a voler essere più precisa, direi che mi trovavo sul tratto di spiaggia in corrispondenza del mio rione perché, in un’epoca in cui di stabilimenti balneari ce n’erano ben pochi, ci si sentiva padroni, anche se per poche ore al giorno, di quei luoghi. Si sceglieva con cura il pezzettino di spiaggia, si piantava l’ombrellone o si lasciavano le proprie cose all’ombra di una delle tante barche che i pescatori avevano trainato alle prime luci del giorno dopo un’abbondante pesca notturna. E mentre io me ne stavo lì assieme ai tanti ragazzini che, come me, in estate spostavano su quei tratti di spiaggia il loro quartiere generale di giochi, nelle acque di fronte a Riace – paesino non molto lontano da Roccella Jonica e oggi ben noto per il progetto sull’accoglienza promosso dall’associazione Città Futura – venivano ritrovate due delle più belle e imponenti statue in bronzo di tutti i tempi. Una scoperta strabiliante che, si diceva, avrebbe incrementato e rivoluzionato negli anni il turismo in Calabria. Ma è stato veramente così? E la regione Calabria ha finalmente fatto quel salto di qualità grazie ai due splendidi guerrieri? Per rispondere a queste domande servirebbero dati di cui non dispongo e siccome non ho nessuna voglia di alimentare – soprattutto in questo contesto –  polemiche da cui non riuscirei a districarmi, mi limiterò a raccontare alcune vicessitudini dei due guerrieri tanto contesi nel mondo. Due guerrieri che hanno sempre gentilmente declinato ogni invito rimanendosene a casa loro e continuando ad occupare, come ogni personaggio illustre che si rispetti, le prime pagine dei rotocalchi più importanti.

Ma procediamo con ordine, cominciando dagli anni che hanno immediatamente seguito il loro ritrovamento. Dopo i primi lavori eseguiti d’urgenza al museo archeologico di Reggio Calabria, le due statue sono state trasportate al centro di restauro della soprintendenza di Firenze per un processo di recupero delle parti esterne. Dal 1992 al 1995 sono state sottoposte alla rimozione delle terre di fusione nelle parti interne per una migliore conservazione. L’ultimo intervento importante, avvenuto nel 2009, ha riguardato l’eliminazione sia dei processi di corrosione esterni che di quelli interni ed una migliore esportazione delle terre di residuo. Da alcuni anni, le statue A e B, come vengono ormai chiamate, sono esposte su due basi antisismiche in marmo di Carrara in una bellissima sala del museo archeologico di Reggio Calabria, allestita appositamente per loro. Una sala dove i due guerrieri troneggiano in tutto il loro splendore, per accedere alla quale i visitatori devono sottoporsi ad un flusso di aria purificatrice. Procedure e procedimenti più che normali se vogliamo continuare ad ammirarli dal vero e non ritrovarci un giorno davanti a delle copie, com’è il caso per tante opere d’arte vittime del loro successo e della loro bellezza.

 E quando si è belli, si sa, c’è spesso un prezzo alto da pagare e i bronzi, purtroppo, hanno dovuto fare i conti negli anni con situazioni a dir poco imbarazzanti. Ricordo, in particolare, un episodio che li ha visti protagonisti alcuni anni fa e che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro sulla stampa italiana. Il fotografo francese Gerard Bruneau, allievo di Andy Warhol, invitato in occasione di una giornata organizzata per promuovere le due opere all’estero, era riuscito ad immortalarli in tanga leopardato, boa rosa e tulle bianco da sposa. Come si era rapidamente potuto leggere, Bruneau avrebbe pubblicato le fotografie servendosi di sotterfugi dal momento che questi non erano gli accordi presi con la direzione del museo.  Il progetto prevedeva di vestirli solo di un delicato velo bianco come lo stesso fotografo aveva fatto, qualche anno prima, per Paolina Bonaparte di Antonio Canova esposta alla Galleria Borghese di Roma. Alla luce di quanto accaduto e premesso che ogni artista  è libero di creare ciò che sente per esternare emozioni e inviare messaggi, questa vicenda potrebbe indurci a riflettere sulla creatività portandoci da una parte a chiederci quali siano i suoi limiti e dall’altra se sia lecito usare l’inganno in nome di cause ritenute giuste come quella di Bruneau che, attraverso questa idea, ha voluto certamente denunciare l’omofobia e i tanti pregiudizi che ancora oggi esistono. Ma se questi restano i due quesiti essenziali, viene anche da chiedersi come mai, per una kermesse così mediatizzata, sia stato convocato un fotografo come Bruneau. Conosciuto in tutto il mondo per la sua genialità ed il suo estro, è anche noto come uno dei fotografi più provocatori, autore di numerosi servizi scabrosi e polemici. Lasciando agli eventuali lettori ogni riflessione, io posso solo constatare che, grazie a quest’episodio, si è ricominciato a parlare delle due statue che per un po’ sembravano essere cadute nell’oblio. L’episodio fa pensare, per alcuni aspetti, ad un’installazione molto provocatrice di Maurizio Cattelan che risale ad alcuni anni fa : bambini-fantoccio appesi ad una quercia della piazza XXIV maggio a Milano scatenarono subito un putiferio sulla stampa locale e nazionale e molti cittadini manifestarono, con violenza, il loro disappunto. Di certo, Cattelan avrebbe potuto esporre la sua opera in un museo lontano dagli sguardi di passanti che non avevano voglia di vedere e soprattutto di bambini, ma forse l’artista ha proprio voluto che tutti, in una società sempre più indifferente alla banalizzazione del male, vedessero. Come per i bronzi in tulle e tanga, questa storia, anche se in modo diverso, invita a riflettere, a reagire, ad interrogarsi.

Continuando ad elencare gli episodi che hanno avuto per protagonisti i bronzi non ci si può non soffermare sull’Esposizione Universale di Milano del 2015 che aveva fortemente caldeggiato la presenza dei due guerrieri nel paviglione dedicato all’Italia. Le due statue, davanti alle quali avrebbero sfilato migliaia di visitatori al giorno, sarebbero dunque state, per l’intera durata della manifestazione, gli ambasciatori delle bellezze del nostro paese. La regione Calabria, ritenendo il viaggio periglioso e nonostante l’importante compenso materiale di cui si era parlato, aveva da subito mostrato una grande reticenza divenuta da lì a poco un netto rifiuto. Lungi da me la solita solfa “Che venga in Calabria chi vuole vederli”, frase riduttiva che diventa odiosa se detta –come succede spesso- con stizza, ho subito pensato che sarebbe stato più proficuo incentivare i viaggi volti alla loro scoperta in situ. Si potevano e si possono stimolare i turisti stranieri (e non solo) a visitare luoghi meno noti come Reggio Calabria e dintorni. Insomma, si può favorire un certo tipo di turismo a condizione, naturalmente, che venga fatto a monte un lavoro adeguato per il miglioramento delle infrastrutture e dell’accoglienza. È vero che i viaggi, le esposizioni in altri musei e quant’altro contribuiscono alla valorizzazione delle opere d’arte, ma vale la pena mettere a repentaglio l’incolumità quando non sono riunite tutte le condizioni che ne garantiscono la sicurezza ? Per i Bronzi non sembrava il caso e per fortuna l’intervento di una commissione di esperti, istituita dal ministero della cultura, mise fine a tutte le diatribe decretando che i bronzi erano troppo fragili per affrontare un viaggio come quello alla volta di Milano. Il dibattito si concluse lì e da allora non si parlò più di spostamenti. I due guerrieri poterono così godere di una tregua.

Ma, come dice il proverbio “Se la montagna non viene a Maometto, allora è Maometto che va alla montagna” per contrastare un tale diniego, non si è trovato niente di meglio che esporre periodicamente delle copie dove lo si ritenesse opportuno. L’ultima trovata è recentissima e pare che i fondali della Versilia si preparino ad accogliere per un anno due copie delle famose sculture. Un’operazione che “servirà a valutare l’impatto dell’interazione tra mare e bronzo”. Ai posteri larga sentenza.

Per i due guerrieri, che per quasi duemila anni sono rimasti tranquillamente sepolti nella sabbia, gettati in mare durante una burrasca per alleggerire la nave che li trasportava oppure perché l’imbarcazione era affondata, sembra non esserci veramente pace e mentre ci si prepara a festeggiare il cinquantesimo anniversario del loro ritrovamento, ecco che tornano alla ribalta con una notizia clamorosa che, se dovesse essere confermata, darà grattacapi a non poche persone.

Si dice da un po’ di tempo che assieme alle due statue siano stati ritrovati altri oggetti, in particolare un elmo, una spada e uno scudo fatti sparire immediatamente. C’è addirittura chi menziona una terza statua con braccia aperte e con una gamba sopravanzante rispetto all’altra. La notizia andrà sicuramente vagliata dalle autorità ma quel che è interessante in tutta questa vicenda è che essa fa luce su un triste capitolo che è quello delle opere d’arte trafugate in Italia e non solo. Un capitolo che forse non si chiuderà mai perché i capolavori sparsi per il mondo sono veramente tanti che riportarli tutti a casa sarebbe praticamente impossibile. Basti pensare alle razzie perpretate durante le  battaglie e le invasioni nei secoli scorsi, ma anche alle relazioni diplomatiche tra paesi. Relazioni che venivano spesso saldate da papi e sovrani sacrificando oggetti di altissimo valore artistico oltre che simbolici per il paese di appartenenza.

Oggi che per fortuna le cose vanno meglio, almeno nei nostri paesi dove non ci sono guerre, e che dei ministeri sono stati creati per la valorizzazione e la salvaguardia dei beni culturali, godiamoci questi due splendidi capolavori e prepariamoci ad accoglierli in questo loro anniversario con tutti i dovuti onori.

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