Filosofia di vita. Incontro con l’artista Vittoria Marziari

Siena e le sue stradine curve, ripide e acciottolate sotto il sole cocente di un’estate che sembra non voler finire mai. È un pomeriggio come tanti e passeggio senza meta precisa, lasciandomi cullare dall’eco di voci che mi giungono lontani. Una lunga sosta all’ombra dei cespugli nel parco dei Tolomei e poi m’incammino verso via di Stalloreggi, una delle strade più antiche della città e oggi luogo prediletto di tanti artisti che hanno aperto bottega. Al numero 22, la vetrina di una galleria attira la mia attenzione. Mi decido ad entrare. Armoniose sculture in bronzo si stagliano leggere verso l’alto e raffinati oggetti in ceramica impreziosiscono le pareti delle tante salette disposte su più piani: un tripudio di colori e di forme. L’Uomo, in tutto il suo essere, con le sue gioie, i suoi dolori, le sue aspirazioni e le sue incertezze, sembra essere il grande protagonista delle opere di Vittoria Marziari. Ogni scultura è un sussurro, un fremito, una voce che l’artista incide e accompagna da riflessioni personali. Il tempo scorre veloce e il sole è già andato via quando risalgo nell’ingresso dove la signora Marziari, sorridente, mi aspetta e con tanto garbo mi chiede se le opere mi sono piaciute. Le rispondo che le sue sculture mi hanno accattivata e che mi piacerebbe ritornare nella sua galleria per chiacchierare un po’ con lei e conoscerla meglio.

Sono dunque ritornata in via Stalloreggi al numero 22. Era un pomeriggio sempre afoso di questa pazza, pazza estate e il tempo è praticamente volato via.

Grazie Vittoria e buona lettura.

Ci racconta com’è nata la sua passione per l’arte e qual è stato il suo percorso di formazione ?

Fin da piccola mi sono occupata di arte perché mi è sempre piaciuto lavorare con le mani. Ricordo che facevo delle statuine per il presepio, ma bastava che avessi qualsiasi tipo di materiale, come del tessuto o della pelle, e creavo qualcosa. C’è stato anche un periodo in cui facevo delle borse, dei cappelli, degli abiti; insomma tutto ciò che richiede manualità. Quando è arrivato il momento di scegliere un percorso di studi, ho deciso di frequentare una scuola di arte. Io sono di Monte San Savino in provincia di Arezzo e siccome a quel tempo la scuola non esisteva in questa città, sono venuta a Siena dove più tardi mi sono sposata. Benché l’insegnamento a scuola sia importante perché è lì che si imparano le varie tecniche, io penso che sia anche necessario trovare una strada per esprimersi più liberamente. Un po’ è quello che è successo a me. All’inizio della mia carriera ho insegnato nelle scuole classiche e più tardi ho avuto un incarico in un ospedale psichiatrico. Quest’esperienza è stata per me una vera scuola di vita grazie al contatto con le persone disabili che si esprimevano liberamente.

In questa sua bellissima galleria d’arte, si possono ammirare molte opere realizzate con tecniche diverse. Per cominciare, ci vuole parlare della ceramica?

Fin da piccola mi piaceva molto modellare l’argilla. A scuola ho continuato a fare delle sculture in terra cotta, in ceramica e altro. Si trattava sempre di sculture, mai di oggetti di uso. Con la ceramica ho sperimentato tutte le tecniche possibili ed immaginabili come il bucchero che è la tecnica usata dagli etruschi e le cui procedure fino a poco tempo fa si pensava fossero incomprensibili, ma anche la maiolica, le monocotture, le riduzioni e la ceramica raku. Con quest’ultima tecnica, in particolare, ho avuto molte soddisfazioni e ho potuto esporre in varie parti d’Europa. La prima volta ho esposto le mie ceramiche a Wolfsburg in Germania dove la Wolkswagen mi ha dedicato una mostra personale. D’altronde, alcuni pannelli che Lei vede in questa galleria si trovano a Wolfsburg. Più tardi ho esposto anche in altre nazioni.

In che cosa consiste la tecnica raku? Quali sono le differenti fasi di lavorazione?

Nella tecnica tradizionale, prima si modella l’oggetto e poi lo si mette in forno per la cottura a 950°/960°. Quando l’oggetto è freddo, viene estratto dal forno e, o lo si lascia in terra cotta oppure viene invetriato o ceramicato. La tappa successiva riguarda la smaltatura sulla quale viene dipinto il soggetto che si vuole. Infine, l’opera viene rimessa in forno.

Nella tecnica del raku, che è una tecnica abbastanza dura, ci sono delle differenze. Innanzitutto vorrei dire che l’argilla usata per il raku è molto resistente, ha più sciamotte cioé terra cotta macinata finemente aggiunta alla terra cruda. Un impasto che dà luogo a un’argilla semirefrattaria.

Nel raku, gli oggetti – chiamati biscotti – vengono tolti dal forno e poi smaltati con smalti a base di ossidi metallici. In seguito vengono rimessi in forno per la seconda cottura a 960°/970°. Si lasciano cuocere e si estraggono non quando il forno è freddo ma quando la temperatura si aggira intorno ai 700° (naturalmente facendo uso di tutti gli strumenti e di tutte le accortezze necessari). Si lasciano raffreddare per pochi minuti coperti con segatura, foglie secche o fogli di giornale in modo da creare una riduzione di ossigeno ed evitare quindi che gli smalti ossidandosi, diventino neri. In seguito vengono immersi in acqua fredda. Il fortissimo stress termico (da 800° si arriva a 50 °in pochi munuti) spesso causa la rottura di alcuni oggetti. Per questa ragione è necessario usare una terra più resistente. Comunque le rotture nel raku non creano difetti. Ho esposto le mie opere in raku in varie parti d’Europa cominciando con la Germania presso la Wolfswagen dove la mia arte venne definita “filosofica”.

 Il bronzo sembra essere il materiale che Lei predilige per le sue sculture. Ci vuole parlare anche di questa tecnica?

Se devo essere sincera, il bronzo lo prediligo per praticità. Quando andavo all’estero per esporre le mie opere in ceramica, molte arrivavano rotte. Così sono passata al bronzo che mi dava più sicurezza. Il bronzo non ha la bellezza che ha il raku con tutti i suoi colori, la varietà di cromie. Comunque se sono passata al bronzo non è stato solo per praticità. Il bronzo mi dava la possibilità di creare figure aeree, leggere. Contrariamente a quanto si pensi sulla pesantezza del bronzo, le mie opere sono molto leggere. Non hanno quell’appoggio pesante che potrebbe richiedere il bronzo. In genere sono opere che si sorreggono su un solo punto.

In effetti una delle cose che colpisce di più nelle sue opere in bronzo è la leggerezza, il loro tendere verso l’alto. Anche se sono tutte belle, vorrei chiederle di parlarci della “Speranza” che ha avuto l’opportunità di esporre in Vaticano. Immagino sia stata una bella esperienza?

Si, davvero una bella esperienza. L’opera è rappresentata da un ago, un filo e alcune persone che si aggrappano a questo filo per raggiungere una meta. Quest’ultima si trova al di là della cruna dell’ago ed è rappresantata dalla luce perché, secondo me, qualsiasi meta che si raggiunge, sia essa materiale che spirituale, è sempre una luce. Ho rappresentato un ago perché sono partita dalla frase “La speranza è legata a un filo”. Le figure che si aggrappano, per raggiungere la meta, devono passare attraverso la cruna che è un passaggio difficile, stretto. Io penso che qualsiasi meta sia faticosa ed ho voluto rappresentare così il percorso per raggiungerla. Il cammino è lungo e a volte pieno di ostacoli.

A proposito di mete, di percorsi difficili, che messaggio vuole dare ai giovani che si accingono ad entrare nel mondo del lavoro, in quello artistico ma non solo?

Le cito la frase che ho inciso in quest’opera “Con fede, costanza e volontà, fra i mille fiori del prato, anche il tuo sboccerà”. I nostri desideri possono “sbocciare” se ci sono tutte queste qualità. Oggi, anche se grazie ai social basta inserire il proprio nome ed avere una certa notorietà, io credo che il successo sia duraturo solo se ci sono costanza e volontà. A proposito di giovani, c’è un’opera per la cui realizzazione mi sono ispirata a loro. Si tratta di “Controcorrente” dove la figura che rema appunto controcorrente mi è venuta in mente guardando i giovani di oggi i quali cercano di imitarsi tra di loro nel modo di porsi, di vestirsi, di parlare che non è, secondo me, una bella cosa. Ognuno dovrebbe essere se stesso, con le proprie idee, il proprio modo di fare. Così ho pensato a questa frase : “La validità non è omologarsi ma essere unici nell’unicità delle cose”.

È una bellissima frase che potrebbe concludere il nostro incontro ma, per finire, vorrei chiederLe di parlarci dei messaggi che Lei incide sulle sue opere. Sono molto originali.

Quando realizzo un’opera non voglio rappresentare quello che vedo esteticamente. Voglio rappresentare quello che sento, i miei sentimenti. In molte delle mie opere scrivo queste frasi che non sono di certo un insegnamento. Se la gente condivide i miei pensieri bene, altrimenti pazienza. Ad esempio, l’opera intitolata “La Scelta” esposta qualche tempo fa all’Università in occasione di un meeting dove si parlava di mafia, nadrangheta e legalità con personaggi famosi come il giudice Gratteri, era stata scelta per la sua simbologia. Si tratta di una figura che, trovandosi davanti a due porte, non sa quale aprire. La frase che io ho aggiunto è questa : “Nello spazio invisibile dove il silenzio genera le sue scelte, rifletti profondamente per dare loro ragionevole concretezza”. Appartenere alle associazioni di cui si è parlato durante il meeting è sempre una scelta e prima di fare una scelta bisogna interrogarsi e sapere cosa scegliere.

Le opere di Vittoria Marziari http://www.vittoriamarziari.it si possono ammirare a Siena oltre che nella bellissima galleria al n. 22 di via Stalloreggi anche nel Parco della Luce al numero 57 della Strada dei Tufi https://www.youtube.com/watch?v=NyIM-YGmB0Y

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