L’amor fuggente di Gian Luca Baldi, intervista a cura di Anita Piscazzi

“L’amore ha bisogno di tempo, dell’istante si beffa o ha paura/L’amore guarda lontano e di anno in anno/ Ha bisogno di tenersi stretto sempre alla stessa mano/ L’amore ha bisogno di tempo/L’amore ha bisogno di tempo/Carpe amorem”.

Sono versi tratti da L’amor fuggente, una delle canzoni-madrigale che dà il titolo all’omonimo album frutto dell’ultimo lavoro discografico di Gian Luca Baldi, compositore, scrittore e titolare della cattedra di composizione presso il conservatorio Agostino Steffani di Castelfranco Veneto (Treviso). Autore di una ottantina di composizioni, per orchestra, da camera, per la danza, il cinema  e il teatro musicale (tra cui otto fiabe musicali), dall’inizio del 2000, Baldi si occupa professionalmente anche di scrittura, con saggi, libri di teoria, racconti e romanzi. Nel 2016 vince il premio Bukowski col romanzo, Quello di cui non vogliamo parlare e nel 2018 il Premio speciale della giuria con il romanzo, Le tessitrici dell’ultimo giorno. Collabora con la rivista della Mondadori «Prometeo», curando la rubrica “De Musica”, col Festival MITO per il quale scrive i programmi di sala e con la casa editrice Diastema di Treviso. La sua attività trentennale e clandestina di song writer è venuta alla luce nel 2021 proprio col progetto L’amor fuggente, l’album di canzoni-madrigale che fonde lo spirito polifonico monteverdiano con la canzone pop moderna.

Renzo Cresti, musicologo e critico ti ha definito un compositore solitario che ama repertori particolari che vanno dal contrappunto franco-fiammingo, fino al mondo pop dei Beatles e dei Radiohaed. Teso alla ricerca di uno stile che tu stesso  definisci, “Armonia Fantastica”. Ti riconosci?

Alla fine del 2010 ho cominciato ad occuparmi di Gianni Rodari e del suo pensiero pedagogico rivoluzionario, studiando in particolare la Grammatica della fantasia. Da questo studio appassionato ne è nato nel 2012 un libro, uscito pochi mesi prima di un lavoro analogo di Piatti e Strobino che si intitolava Grammatica della fantasia musicale. Per riferirmi al libro di Rodari ho dovuto quindi trovare un titolo diverso, e scelsi Grammatica dell’armonia fantastica, libera parafrasi di quello di Rodari. In realtà  questi due libri, usciti a poca distanza l’uno dall’altro avevano finalità completamente differenti. Piatti e Strobino traducevano il messaggio di Rodari, in un percorso creativo musicale rivolto soprattutto alle scuole medie. Il mio libro intendeva invece portare il pensiero di Rodari fino ai “piani alti” dei conservatori.

Tuttavia questo titolo, in qualche modo, acquistò una vita ed un significato propri e porta inevitabilmente a pensare ad un nuovo modo di intendere l’armonia. Mescolare la ricchezza dei linguaggi armonici del passato con l’incredibile varietà dei linguaggi di oggi, soprattutto del pop, della musica popolare e del jazz, senza tabù né diktat, senza inibizioni né paure, è questo il vero spirito dell’armonia fantastica, e quindi, sì, mi riconosco nelle parole di Renzo Cresti.

Che cosa significa per te comporre in un mondo musicale contemporaneo ormai contaminato da qualsiasi genere o interferenze pseudo-musicali?

Io non userei la parola “contaminazione”, che ha un sapore medico—virologico e quindi negativo. La cultura umana progredisce per sintesi e ibridazioni. La musica europea è nata nel momento in cui tre continenti musicali sono entrati in stretto contatto tra loro, fondendosi: la musica italiana, la musica franco-fiamminga e la musica inglese, a cavallo tra Tre e Quattrocento. Guillaume Dufay è una delle prime testimonianze di questa sintesi.

Oggi dobbiamo fare ancora i conti con la “insostenibile pesantezza” dell’eredità del Novecento. Come se avessimo un magazzino pieno di tesori ma dovessimo ancora finire di inventariarlo. Nel frattempo nascono nuove idee e nuovi fermenti in continuazione.

A ciascuno, nel suo piccolo, il compito di creare sinapsi culturali, di costruire ponti, di mettere a confronto mondi ed idee. È quello che sto facendo io, figlio del Novecento e degli anni Sessanta, rompendo delle barriere interiori che tenevano separato tutto ciò che amavo. Ed a un certo punto mi sono chiesto: perché?

Gli ism contro cui combattiamo oggi, vale a dire i “racisms”, i razzismi, non possono riguardare solo il genere, la religione e la razza, ma dovrebbero riguardare tutti gli aspetti della individualità umana, compresa l’età e le inclinazioni personali e i propri gusti. Oggi possono esserci fumetti d’arte, e anche pubblicità d’arte, mentre esempi di letteratura che occupano i primi posti delle classifiche di vendita, possono essere egualmente trash per quanto confezionati con eleganza ed accortezza. L’etichetta di un genere non dà nessuna garanzia e per questa ragione la vera arte, la grande arte bisogna andare a cercarsela un po’ovunque e ciascuno deve rispettare gli altrui mondi interiori, gli altrui gusti, gli altrui percorsi.

Quando hai cominciato ad avvicinarti e a sperimentare l’impasto di due terreni musicali in apparenza così lontani come l’antico e il pop?

Esattamente non saprei, ma devo averne preso consapevolezza con la collaborazione col gruppo di musica veneta Calicanto (2008-2014) e soprattutto col progetto S-Confini (2010). Nell’orchestrare due ninna nanne venete, in particolare Stanote m’ho insognà, ho trovato in quella melodia così semplice e affascinante il sapore del futuro.

Mi viene in mente l’Ars nova italiana e l’Ars nova francese. La tua è una “nuova Ars” sperimentata innanzi tutto con il genere del madrigale, una forma di poesia per musica, è così?

Nuova e, direi, anche molto antica. Penso che mettere insieme parole e musica sia uno dei momenti più alti della creatività umana, sicuramente il più antico, che attraversa la nostra storia dagli albori delle espressioni artistiche, come un filo rosso costante e, per molti versi, quasi indifferente ai tanti cambiamenti storici, sociologici e culturali. Da sempre l’uomo ha usato la breve forma vocale per parlare delle cose più diverse, tanto d’amore che di politica, tanto per raccontare la più struggente malinconia che per esprimere il più pungente sarcasmo, tanto per fare poesia e arte che per giocare e divertirsi ( e le due cose vanno, per fortuna, spesso insieme).

Lo sanno bene gli Inglesi che chiamano song tanto le liriche di Saffo e Alceo (che, naturalmente, erano cantate), quanto le liriche dei trovatori e trovieri. Canzone è la forma poetica di Dante e Petrarca, anch’essa cantata, e song sono quelle di Dowland, Mozart e Schubert, così come quelle di Lennon-McCartney, Elton John, Queen e Radiohead…

Quale sia la qualità di queste song, sta a ciascuno autore determinarlo, ma un genere così nobile e universale non può certo essere sminuito da cattivi esempi, o modesti repertori così come l’esistenza di brutte e mediocri sinfonie non può di certo nulla togliere alla grandezza delle sinfonie di Beethoven e della sinfonia in generale.

Ultimamente stai lavorando ad un progetto discografico dal titolo “L’amor fuggente”, di cosa si tratta?

Ho chiuso proprio ieri il secondo gruppo di canzoni-madrigale che dovrebbero essere disponibili su Spotify a partire dalla seconda metà di luglio. Il titolo del brano, “L’amor fuggente” che dà il nome a tutto l’album, è un riferimento a “L’attimo fuggente”, in quanto è una canzone contro un certo modo di intendere il “carpe diem” e sostiene che si dovrebbe, invece dell’attimo,  afferrare l’amore, amore che ha bisogno di tempo e “di anno in anno, cerca di afferrarsi sempre alla stessa mano”. Ne aggiungo il testo in coda all’intervista.

Questo progetto rappresenta il primo vero momento della mia vita in cui ho preso consapevolezza, vale a dire, ho accettato di essere un song writer. Una sorta di outing per me che vengo da un percorso colto e insegno Composizione in conservatorio, composizione con la C maiuscola, come si considera abitualmente, rispetto ad altri “comporre” evidentemente considerati meno nobili.

Per la prima volta ho dato la stessa attenzione e lo stesso rispetto a quel tipo di idee che prima tenevo in una soffitta buia della mia mente a soffrire, come abbandonate. Ho lavorato con la stessa serietà con cui di solito lavoro ai grandi brani per orchestra o a quelli di musica da camera. Mi sono dedicato alle idee di testo e alle cellule melodiche che ho trascritto con meticolosità sul pentagramma, invece di tenerle a memoria, anche per decenni, come facevo prima; le ho sviluppate, arrangiate, composte, orchestrate, rielaborate e portate in studio per ulteriori processi creativi e compositivi. E alla fine il risultato mi ha sorpreso e, in alcuni casi, direi sconvolto. Sono partiture complesse, ricche, nuove per molti versi e al tempo stesso semplici, comunicative, pop. Uscendo dallo studio ieri ho avuto la sensazione di aver aspettato per quarant’anni di scrivere quella musica. Prima, da un lato forse mi mancava l’audacia e la sicurezza, dall’altra non disponevo ancora di quegli strumenti tecnici per fondere insieme tante cose diverse. L’arte ha bisogno di tempo…

Che cos’è una canzone-madrigale?

Il madrigale è la forma principe della musica polifonica Cinquecentesca. Monteverdi, a cavallo tra Cinque e Seicento, raccoglie questa straordinaria eredità musicale offrendone esempi meravigliosi come nelle raccolte IV e V a 4 e 5 voci. Poi comincia a trasformarli fino ad arrivare a delle composizioni con una voce sola e il basso. Se ascoltiamo Sì dolce è il tormento (citata in una delle mie canzoni-madrigale) o alcune arie de L’incoronazione di Poppea, ci rendiamo conto che Monteverdi ha inventato il pop.

È nel corso del 2021 che ho preso piena consapevolezza di due cose che mi avevano accompagnato per tutta la vita e alle quali non avevo mai prestato la necessaria attenzione. Da sempre ho avuto al tendenza a combinare parole e musica e a scrivere quelle che potremmo chiamare, impropriamente, canzoni. Secondo, da sempre queste canzoni avevano una tendenza ad essere polifoniche.

Già in Raingardens, del 1997, e poi con Xè destin, del 2009 e Ghe rivarem a baita del 2014, queste ultime entrambe scritte per Calicanto, mi sono trovato a fare i conti con una tendenza spontanea a creare canzoni a più voci.

Solo nell’estate del 2021, tuttavia, ho preso piena consapevolezza di questa tendenza, nel momento in cui ho composto le code polifoniche di Scirocco (a 4 voci) e di Io vorrei (a 6 voci). E solo dopo un anno di lavoro su questi pezzi, col completamento del progetto discografico de L’amor fuggente, ho visto tra le mie mani prendere forma definitiva la canzone-madrigale.

Ho capito così che una canzone-madrigale non deve necessariamente essere sempre polifonica, al contrario, può avere molti momenti monodici. Sua caratteristica è invece che abbia almeno un episodio polifonico, madrigalistico vero e proprio, con tre o più voci che si intrecciano liberamente, come nella polifonia antica appunto.

Questo il caso, ad esempio, di I colori del cuore, fondamentalmente monodica, ma con l’intenso episodio madrigalistico centrale, de L’amor fuggente e di tante altre.

Per il resto, la canzone madrigale può avere tutte le caratteristiche formali di una moderna song, come intro, strofa, bridge, ritornello, special e coda, oppure giocare liberamente con queste consuetudini formali, eliminandone alcune.

Struttura completa quella de La lontananza non è come il vento (che uscirà in autunno), con quattro delle sei parti appena citate (strofa, bridge, ritornello, special), forma invece inusuale quella di Scirocco a doppio ritornello o, se vogliamo, con coda che quasi sembra voler ricominciare la canzone, e particolarmente complessa quella di M’innamoro di te, anch’essa con coda 1/ritornello bis e due intermezzi strumentali importanti, oltre ad una coda 2.

Da quali autori ti lasci guidare, quando scrivi una canzone-madrigale?

Sono del 1961, ho una certa età… e i compositori che hanno segnato la mia vita sono tantissimi. Non c’è un compositore classico che non abbia veramente amato e studiato, da Ockeghem a Bach, da Josquin a Beethoven, e poi Mozart e tantissimi altri, oltre a Monteverdi naturalmente, che in questa operazione è uno dei numi tutelari insieme ai fiamminghi.

Sono cresciuto poi con De Andrè, Battisti, Genesis e Pynk Floyd, ma Beatles e Radiohead sono quelli che ho nel cuore e mi seguono tutti i giorni, per quanto sono molto curioso e cerco di ascoltare continuamente cose nuove e rubo ai miei allievi nomi e  suggerimenti.

Sei anche uno scrittore e premio Bukowski 2016. Quanto ti ha influenzato la scrittura nella musica?

Forse è accaduto il contrario. A vent’anni ero incerto se fare il compositore o lo scrittore. Ma se alla fine non avessi optato per la composizione, non so in quale modo avrei acquisito gli strumenti tecnici dell’arte, in quanto il percorso di scrittore non è così ben segnato come quello della musica. Forse mi sarei perso del tutto. La musica mi ha dato disciplina, controllo, tecnica. Quando agli inizi degli anni Duemila la necessità di scrivere parole si è riaffacciata prepotentemente nella mia vita, la musica è venuta in mio aiuto e mi ha accompagnato nel capire ed imparare il difficile mestiere del mettere insieme parole. Mestiere al quale mi sono dedicato con tantissimo lavoro e dedizione, con 5 romanzi, diverse raccolte di racconti e fiabe, oltre a diversi libri di teoria musicale. Per concludere con i testi di una trentina di canzoni e i 12 per L’amor fuggente, il testo di una canzone è una forma poetica molto, molto particolare.

Una volta era una cosa normale cantare e poetare, come ho già scritto, inventare versi e melodie è alla base della creatività umana. Non capisco perché oggi questa attività che ha accompagnato l’uomo per tutta la sua storia sia caduta così in disgrazia e si ritenga una stranezza il fare entrambe le cose.

Che consiglio daresti ad un giovane compositore?

A Castelfranco, dove io e i miei colleghi Nicola Straffelini e Matteo Franceschini abbiamo costruito uno dei Dipartimenti di composizione più grandi e importanti del Nord Italia, dico spesso ai ragazzi: “Non abbiate paura e fate tutto quello che avete voglia di fare, con audacia e sfrontatezza, buttando via ogni conformismo. Il tempo di obbedire ciecamente ai maestri per fortuna, è finito”.

Intervista a cura di Anita Piscazzi

L’amor fuggente
(Liriche e musica di G.L. Baldi)

Indimenticabile
Eppure ormai
Dimenticato
Ed insostituibile
Ma inevitabilmente
Già parte del passato
Ogni istante della nostra vita
Appartiene a noi
Eppure andrà restituito prima o poi

Carpe diem Dicono così
Carpe diem Ma io dico
Carpe amorem
Carpe amorem

L’amore ha bisogno di tempo, dell’istante si beffa o ha paura
L’amore guarda lontano e di anno in anno
Ha bisogno di tenersi stretto sempre alla stessa mano
L’amore ha bisogno di tempo
L’amore ha bisogno di tempo

Carpe amorem

I 7 brani de L’amor fuggente sono ascoltabili su Spotify e You Tube sotto la sigla di Bludicaos.

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