La sfida del traduttore

Se la traduzione di un testo letterario può risultare impresa non semplice, tradurre un testo letterario scritto in un linguaggio familiare ricco di termini argotici è qualcosa di ancor più difficoltoso. Per la nostra indagine sulla traduzione, ho scelto Touchez pas au grisbi!, scritto nel 1953 da Albert Simonin, uno dei primi scrittori contemporanei ad aver utilizzato il linguaggio argotico nei suoi romanzi, legittimandone così l’uso in letteratura.

Touchez pas au grisbi! ha avuto un grande successo in Francia: vincitore, poco dopo la sua pubblicazione, del Prix des Deux-Magots e adattato al grande schermo l’anno successivo, diretto dal regista Jacques Becker. Tuttavia il romanzo viene tradotto in italiano ben 50 anni dopo, ovvero nel 2003, da Franco Salerno e Andrea Carlo Cappi, pubblicato nella collana I Bestseller del Crimine della casa editrice Sonzogno che raccoglie gli scrittori più famosi e i maggiori bestseller del genere noir.

Tra le cause di questo ritardo ipotizziamo proprio il fatto che le pagine del romanzo siano ricche di termini argotici. Persino nell’edizione originale del testo è stato incluso un glossario che aiuti il lettore (e poi anche il traduttore) nella comprensione. La traduzione dell’argot, più di un qualsiasi altro tipo di traduzione, obbliga infatti il traduttore a porsi numerose domande riguardo al senso dei termini usati e al procedimento di adattamento nell’altra lingua. Nel momento in cui i due sistemi culturali, nel nostro caso il francese e l’italiano, entrano in collisione tra loro, il traduttore si troverà davanti ad un bivio e dovrà scegliere se rimanere fedele all’originale o adattare il testo alle esigenze della cultura d’arrivo. Dovrà chiedersi se contesto e organizzazione sociale siano comparabili nelle due culture o, ancora, se le situazioni comunicative siano simili nei due sistemi linguistici a confronto. Trattandosi nel nostro caso di un romanzo poliziesco, ambientato nei bassi fondi, con scene violente e personaggi appartenenti al mondo della malavita, il traduttore dovrebbe innanzitutto chiedersi se tali situazioni, dialoghi, gerarchie di ruoli siano possibili nella cultura di arrivo, tenendo anche conto del fattore tempo e del lettore: sono passati infatti molti anni dalla prima pubblicazione. In Francia in quel periodo era già manifesto l’interesse del lettore per i racconti di banditi e prostitute, il mondo della malavita aveva attirato molte curiosità e si diffondeva sempre di più un atteggiamento “esotico” nei confronti delle figure tenebrose e sospettose, ma non è detto che ciò accadesse anche in Italia. Cinquanta anni dopo, i lettori sono ancora incuriositi da tutto ciò? Le storie di malavita vanno ancora di moda?

La sfida del traduttore è allora quella di trovare un equilibrio tra le differenze imposte dai due sistemi linguistici da un lato e le reali possibilità di compensazione dall’altro, affinché il registro utilizzato rimanga invariato ed il linguaggio non perda la sua forza espressiva. La traduzione dell’argot si costituisce quindi come un campo aperto a numerose sperimentazioni. Siamo consapevoli del fatto che non sempre è semplice trovare in italiano dei termini che traducono esattamente il significato di termini argotici francesi e ciò dipende dalla natura propria dell’argot. Dietro ogni parola argotica infatti, oltre ad esserci uno stretto legame con contesti specifici e con un certo tipo di parlanti, si nasconde una serie di rimandi linguistici di tipo formale, semantico e culturale propri del luogo in cui quella determinata parola ha avuto origine. Un’equivalenza perfetta è in questo caso più che mai impossibile.

Osserviamo il titolo del romanzo nella sua traduzione italiana: l’ignaro lettore ne viene subito colpito, Grisbi, titolo apparentemente fuori luogo rispetto a tutto ciò che compone la copertina frontale: al centro e per lungo una striscia del tipico colore giallo, su cui si trovano in nero le informazioni che riguardano per l’appunto il titolo, l’autore, la collana di cui fa parte e la casa editrice. Sovrapposta alla striscia gialla troviamo l’immagine in bianco e nero, lucida, di qualcuno pronto a sparare, con la pistola che sembra quasi fuoriuscire dal resto della copertina nera, opaca. Da tali caratteristiche formali capiamo subito che si tratta di un giallo, un romanzo poliziesco, ma quel titolo, pensandoci bene, ci riporta alla mente un’immagine fuorviante: se dici grisbì in Italia immediatamente pensi ai biscotti ripieni al cioccolato. C’è un evidente errore di associazione di senso che per il lettore italiano rimane irrisolto fino a quando a pagina 109, quasi a metà del racconto, il termine finalmente ricompare: “Diceva che ti avrebbe appeso a una fune, tu mi capisci, sino a quando non avesse avuto il tuo grisbi”. L’utilizzo del temine in questo contesto suggerisce che non si tratta affatto di biscotti al cioccolato, ma di qualcos’altro. Ci chiediamo come mai il traduttore abbia preferito non tradurre il termine e lo abbia mantenuto nella sua versione originale francese, nonostante di primo acchito, tale termine non abbia alcun significato in italiano. Eppure, grisbi è proprio una delle parole presenti nel glossario alla fine del libro, segno che lo stesso Simonin lo aveva giudicato un termine oscuro per il lettore che necessitava dunque di una spiegazione. Ma nella versione italiana il traduttore lo utilizza proprio come titolo del romanzo. Perché ha fatto questa scelta? Perché non ha trovato una parola compatibile al termine argot? Eppure di parole che hanno lo stesso senso ne esistono molte: bottino e malloppo per esempio. Incuriositi da tale decisione abbiamo fatto una ricerca per scoprire come viene tradotto il titolo nelle altre lingue. Abbiamo scoperto che in spagnolo il titolo è stato tradotto in Cuidado con la plata, dove plata è appunto il termine corrispondente a grisbi, e anche in inglese è stata fatta una traduzione completa: Hands off the loot. Come possiamo notare nessuno ha mantenuto il termine grisbi. Il titolo di un romanzo, come quello di qualsiasi altra opera, ha un ruolo fondamentale, ovvero quello di designare l’opera stessa. Che la sua funzione sia referenziale, mitica o ludica, è scopo dell’autore stabilirlo. Simonin ha utilizzato per il titolo del suo romanzo un termine argot che era caduto in disuso e proprio grazie a lui è ritornato di moda. Essendo pressoché sconosciuto, il termine racchiudeva in sé una certa aura di esotismo. È possibile quindi che il traduttore, cogliendo il senso di tale utilizzo, abbia voluto essere fedele e mantenere tale termine proprio per rispettare le intenzioni di Simonin. Se, come i traduttori nelle altre lingue, il traduttore italiano avesse tradotto il titolo con uno dei termini proposti sopra, si sarebbe perso completamente ogni effetto straniante, si sarebbe mal interpretato l’autore del romanzo e rivelato sin dall’inizio l’elemento fondamentale del racconto, il motore della storia.

Ci resta infine da chiarire se quell’immagine del biscotto al cioccolato possa arrecare un qualsiasi malinteso. Evidentemente i tratti fisici del romanzo parlano chiaro: si tratta di un romanzo poliziesco ed è vero, quell’associazione potrebbe ad un certo punto balenare nella mente del lettore, ma non rimarrebbe che un solo istante, giusto il tempo di girare la prima pagina.

Grazie a questo esempio abbiamo potuto far un po’ di luce sul lavoro del traduttore, su come abbia vinto la sfida interpretando il testo, rimanendo fedele quando era possibile o adattandolo al sistema d’arrivo, utilizzando parole del gergo italiano che presenta molti tratti comuni con l’argot, ma cercando sempre e comunque di mantenere l’effetto di senso originale voluto dallo scrittore, in quanto, come afferma Umberto Eco nel saggio intitolato Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzione (1995), la traduzione deve mirare a produrre in una lingua diversa lo stesso effetto del discorso fonte. In altre parole, la traduzione deve ricreare l’intenzione del testo in rapporto alla lingua in cui è espresso e al contesto culturale in cui è nato e restituirne quindi il senso.

Giusy La Russa

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