Anche Dante parlava occitano?

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Anche Dante parlava occitano?

«Come quel fiume ch’ha proprio cammino prima da monte Veso inver levante dalla sinistra costa d’Appennino». (Inferno, XVI, 95)

Nell’anno dedicato alle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, anche le montagne occitane del Piemonte si preparano a commemorarne il ricordo. Il Monviso, icona di queste terre, sarà il clou degli eventi.
All’ombra de lou Visou, così è chiamato nella lingua locale – le valli Po, Varaita, Maira e Grana si sviluppano a ventaglio verso la pianura Padana e verso piccole cittadine, borghi ricchi di tradizioni e di storia. Qui si costituì nel XII secolo il Marchesato di Saluzzo che per circa quattro secoli riuscì a frenare le mire espansionistiche di invadenti vicini, come i conti e duchi di Savoia e i marchesi di Monferrato, e a conservare la sua autonomia, prima di essere annesso dalla Francia (1548) e poi ceduto ai Savoia nel 1601.

Il Monviso

Fino al XVI secolo, il Marchesato di Saluzzo rivestì un ruolo non secondario sulla scena politica e militare dell’Italia centro-settentrionale, nonostante l’esiguità dei suoi possedimenti.

Il marchesato fu sempre in contatto, grazie a alleanze matrimoniali, con alcune fra le maggiori dinastie signorili dell’Italia settentrionale come gli Este e i Visconti e, a seguito di carriere diplomatiche e religiose, con le grandi corti di Provenza. I Marchesi promossero gli scambi commerciali costruendo strade e valichi con la Liguria e la Francia, ma furono anche amanti delle arti e mecenati. Presso le loro corti si diffuse la lingua e cultura provenzale, importata da trovatori e giullari, giunti dal sud della Francia.

La produzione trobadorica nata sul finire del XI secolo, in una terra culturalmente ricca e prospera quale la Provenza dilagò ovunque, in brevissimo tempo: una poesia che veniva cantata anzitutto di fronte al pubblico delle corti feudali, ma anche nelle piazze, per diventare veicolo di comunicazione, portatore di nuovi valori nell’ Europa del tempo.

I feudatari proteggevano trovatori e giullari perché la loro presenza e la loro fama rendevano più attrattiva la vita a corte, offrendo intrattenimento e momenti spensierati.

Quali furono le novità di questa lirica straordinaria? In primo luogo il fatto di essere in lingua volgare, la lingua del popolo e quindi, a differenza del latino, comprensibile da tutti. Per la prima volta la passione amorosa, espressa con parole e musica, portava il nome del proprio autore.

La lingua utilizzata era la lingua d’oc, una versione poetica dell’idioma parlato tutti i giorni, ripulita delle forme più popolari e arricchita di termini colti e regole che ne consentivano l’apprendimento agli stranieri.
La lingua d’oc è stata la prima lingua romanza per la quale sia stata realizzata una grammatica; mentre per l’italiano e il francese bisognerà aspettare l’età moderna.

Il nome dato alla lingua d’oc si deve a Dante Alighieri, che nel De Vulgari Eloquentia del 1303 classificò per primo le parlate romanze partendo dall’avverbio di affermazione, individuando tre idiomi: lingua del sì, italiano, lingua d’oil, oiltano o francese, e lingua d’òc (dal latino hoc est, è questo), occitano. Dante indicava la lingua d’òc anche con il termine provincialis, lingua della provincia romana per eccellenza, la Provenza. Dante, ammirava immensamente i poeti occitani e li considerava suoi maestri per la poesia in volgare.

Nella Divina Commedia per ribadire il suo stretto legame letterario con questa tradizione, incontra, non certo casualmente, un poeta provenzale in ognuna delle tre cantiche: Bertram de Born nell’Inferno, Folchetto da Mariglia nel Paradiso, Arnaut Daniel nel Purgatorio.

Sulla settima cornice del purgatorio, tra i lussuriosi che scontano la loro pena tra le fiamme, Dante situa quest’ultimo trovatore, personaggio che gli sta particolarmente a cuore e che definisce “il miglior fabbro della sua lingua natale”.

La lirica provenzale di Arnaut Daniel ebbe la sua espressione tra 1180 e 1210, è forse il più celebre dei trovatori, famoso per il suo poetare difficile e oscuro, il trobar clus.

Il Poeta ammirava molto Arnaut, e lo celebra nella sua opera utilizzando la lingua materna del trovatore, attraverso la quale traspare la voce dello stesso Dante. È l’unico punto in tutta la Commedia a cui sia concesso ad un personaggio di esprimersi per così tanti versi in un’altra lingua. Le terzine provenzali chiudono il canto XXVI, ai versi 140-147, e sono la risposta a Dante, che aveva domandato al peccatore il suo nome:

«Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!»

«Tanto mi è gradita la vostra cortese domanda,
ch’io non mi posso né voglio nascondere a voi.
Io sono Arnaut, che piango e vo cantando,
guardo pensoso la passata follia,
e guardo gioioso, davanti a me, la felicità che spero.
Ora vi prego, in nome di quella virtù
che vi guida al sommo della scala,
vi sovvenga a tempo debito del mio dolore!»

Le parole sono dolci, il brano è musicale, profondo. Ci sono i termini tipici della poesia provenzale, “cantare”, “gioire”, “valore”. Arnaut manifesta con i suoi versi i dolori, le vicissitudini, le speranze di Dante stesso.
Se Dante ebbe bisogno di una guida ad illuminare il suo cammino, anche i viaggiatori di queste terre, sopraffatti dal timore di dover varcare colli accidentati e pericolosi, sentivano l’esigenza di avere dei validi supporti a cui rivolgersi. S.Bernardo da Mentone era invocato per la sua qualità di protettore dei valichi alpini. La sua effigie è ricorrente su cappelle e piloni con il diavolo alla catena, simbolo dell’ignoto, della paura di quello che può esserci al di là, oltre al conosciuto. San Cristoforo si erge gigantesco sulle facciate delle chiese e offre protezione ai viandanti, traghettandoli idealmente con la sua zattera verso rive tranquille. San Giacomo, esperto di cammini, offre il conforto per un viaggio impervio, in terre lontane. Un imponente Giudizio Universale affrescato nella navata della cappella di Chianale, ai piedi del colle dell’Agnello, avvicina alla spiritualità qui dove il cielo è più vicino.

San Bernardo da Mentone

San Cristoforo

700 anni sono passati dal viaggio immaginario raccontato nella Divina Commedia. Nelle valli occitane i novelli pellegrini viaggiano ancora tra mura possenti di castelli e torri medievali, boschi rigogliosi, cime ardite, abbazie e monasteri senza tempo.

E presto le voci di moderni menestrelli risuoneranno nuovamente sugli antichi tracciati, in luoghi dedicati all’ascolto, sulla sommità di un monte “visibile”, celebrato in versi dal sommo poeta, non solo per commemorare l’opera e il ricordo di un artista straordinario, ma per raccontare l’anima di queste terre.

Tiziana Gallian

[Il programma degli eventi dedicati a Dante nelle Terre del Monviso è online sul sito:
www.vallidelmonviso.itwww.amormimosse.com]

Cuore del programma di “Dante nelle Terre del Monviso” è la salita al Monviso in programma martedì 31 agosto 2021 durante la quale si svolgerà la “conferenza dantesca più alta del mondo”: il professor Jean-Pierre Sonnet della Pontificia Università Gregoriana proporrà una riflessione su “Dante, la Bibbia e la Poesia” direttamente dalla vetta del Re di Pietra, a 3.841 metri di quota.

Infromazioni tratte :
Dal blog di Daniele Villata su www.sulromanzo.it e dal sito www.nostraitalia.it
Da « Occitania, un’idea senza confini » di Enrico Lantelme (Espaci Occitan, 2004)
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