Luca Aquino, uno dei più giovani e talentuosi trombettisti italiani, ha concesso un’intervista alla nostra rivista.
Con grande sensibilità ci parla del suo percorso musicale, dei suoi progetti e del suo legame con una terra ricca, profonda e autentica.
Tu vieni da una delle regioni più belle d’Italia : la Campania. I paesaggi variegati e i tesori artistici di ogni sua città e di ogni suo borgo attirano ogni anno tantissimi turisti, mentre la musica ne scandisce la vita tutti giorni. Cosa ha rappresentato per te musicalmente essere nato ed essere cresciuto in questa terra?
Vengo da una piccola città di provincia, Benevento. Una città in una valle, con fiumi e tanta storia. Gli stimoli di una piccola città, se dedicata alla cultura, per un ragazzo possono essere tanti. Prima c’erano club e festival di musica che, insieme a festival di teatro molto belli, dal nome “Città Spettacolo”, tenevano viva la cultura con attività culturali prolifiche. Ricordo “Colori Sonori”. Negli ultimi anni è un po’ cambiata. Io, all’età di 18 anni, dopo la maturità, mi sono trasferito a Napoli e poi ho girato il mondo ma i miei affetti sono lì.
Oggi sei considerato uno dei trombettisti italiani, e non solo, più talentuosi e innovativi. Alla tromba ti sei avvicinato all’età di 19 anni mentre intraprendevi altre attività in particolare degli studi in economia.
Quando e come hai capito che la musica era parte di te e che avrebbe segnato per sempre il tuo percorso?
Mio zio mi ha regalato una tromba, mentre studiavo Economia. Dopo un paio di anni ho capito che forse poteva essere la mia strada che però è stata tormentata da scelte difficili da affrontare. Ho suonato la tromba quasi d’incanto ma poi ho dovuto studiare molto per colmare lacune, dovute a una cattiva impostazione. Seguire un percorso non accademico può aiutarti tantissimo, lasciandoti in qualche modo libero, ma può crearti anche qualche problema che poi va affrontato con schiena dritta. Da autodidatta, avevo una impostazione delle labbra errata e mi stancavo subito. Ho poi curato il problema con un grande maestro, Marco Tamburini.
Ho avuto il piacere di ascoltarti per la prima volta a Roccella Jonica in occasione del festival “Rumori Mediterranei”. Era il 2011 e con il tuo album “Icaro solo” ci hai trasportati in un altrove sospeso tra sogno e realtà, dove suoni della vita di tutti i giorni si mescolavano e si fondevano con quelli lievi e sensuali della tua tromba.
Com’è nato questo album? Ce ne vuoi parlare?
Ho registrato “Icaro solo” in solo tromba, nella chiesa di Sant’Agostino di Benevento. Avevo voglia di silenzio e solitudine, dopo album in cui avevo usato elettronica e ritmiche rock. “Icaro solo” mi ha dato tantissima forza, nella musica e nella vita. E’ importante capire come provare ad aver fiducia in se stessi. Certo, ci vuole coraggio e anche un po’ di incoscienza.
“Icaro solo” non è l’unico album che hai registrato in un luogo particolare, cioè al di fuori degli studi. Già prima avevi registrato “Amam” negli antichi bagni turchi di Skopje in Macedonia e TSC in una chiesa in Olanda. Nel 2015 è stata la volta di un progetto magnifico che ha visto come protagonista il sito archeologico di Petra : un connubio perfetto tra musica e realtà ma soprattutto tra musica e silenzio. Come nascono questi progetti e cosa ti spinge ad andare verso questi luoghi?
Sono una persona curiosa e non mi accontento facilmente. Sono perennemente alla ricerca per cui mi piace spingermi oltre e cercare altrove ispirazione, suoni e desideri, altrimenti mi annoio. Amo molto i riverberi naturali di luoghi importanti, con passato e presente glorioso. Il sito archeologico Petra è stato lo studio di registrazione e il palcoscenico più bello della mia vita, grazie alla manager Sara Rella, Talal Abu Galzaleh, alla TAGI Record e a uno staff internazionale e un’orchestra cosmopolita di musicisti provenienti dal mondo arabo ma anche da Europa e dagli Usa. L’album e il progetto aderirono alla campagna Unite4Heritege per la salvaguardia dei siti architettonici da atti di violenza. E’ stata l’esperienza più bella della mia vita. Abbiamo registrato anche un altro album, ai confini tra Siria e Giordania. Speriamo venga pubblicato presto.
Sei conosciuto soprattutto come musicista jazz, ma molti altri sono gli stili musicali che ti interessano, dalla pop, alla musica d’autore e al rock. Stili verso i quali ti avvicini quasi con pudore ma poi te ne appropri e allora diventano tuoi, della tua tromba, del tuo flicorno. Essendo cresciuta ascoltando i Doors non posso non citare il tuo album “OverDoors”, un omaggio molto personale a un gruppo indimenticabile, icona di tante generazioni, e una collaborazione con grandi artisti italiani. Ce ne vuoi parlare?
“Overdoors” è stato un omaggio alla mia band preferita in assoluto. E’ grazie ai Doors che mi sono avvicinato alla musica. Amavo i testi di Morrison e la sua imprevedibilità. Mi sono ispirato ai loro live, nei quali c’era tanto jazz, se per jazz intendiamo musica improvvisata. Morrison era un jazzista puro. L’approccio all’arrangiamento dei brani è stato poco canonico. Avrei potuto anche cambiare titolo dei brani perché, in qualche modo, nel bene o nel male, erano diventati miei. Però nella musica e nell’album si legge bene il messaggio dei “Doors” e questo è quel che volevo ottenere.
Hai collaborato e continui a collaborare con il grande percussionista Manu Katché, un’esperienza che ti ha portato anche nella nostra città, Bordeaux, in occasione di un concerto in una delle più importanti sale spettacolo “Le Rocher de Palmer”. Se non sbaglio, assieme a Manu attualmente ha dei progetti e dei concerti in diverse città italiane. Cosa rappresentano la cultura e la musica in questo periodo di grande emergenza ?
Avrò, speriamo, un concerto con Manu la prossima settimana a Roma, col mio nuovo progetto “Gong”. Un progetto dedicato a sei pugili del passato, con Manu alla batteria, Antonio Jasevoli alle chitarre e Pierpaolo Ranieri al basso. Durante il live saranno letti i testi di Giorgio Terruzzi e proiettate le opere del grande Maestro della transavanguardia Mimmo Paladino. La musica e la cultura delegittimano il cieco e becero potere ed è per questo che fanno paura.
Io vorrei terminare questa chiacchierata con una delle più belle frasi di Miles Davis : “La vera musica è il silenzio. Tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio”. Una frase che ci riporta esattamente a te e ai silenzi dei luoghi che ci racconti.
Grazie Luca.