Alle radici della voce: la tradizione del Maggio Drammatico

La tradizione del Maggio Drammatico che vive nell’Appennino Tosco-Emiliano ci riporta alle radici di un teatro popolare dove la voce e il gesto sono elementi centrali e il canto epico si fa rito comunitario.

Se sono ben noti la storia del teatro d’Opera italiano e il rapporto che, dalla nascita del Melodramma, lega indissolubilmente il canto, la recitazione e la musica, meno note sono la storia e la pratica di una forma di teatro popolare che ancora oggi si mette in scena in una remota valle degli Appennini Settentrionali e che del più nobile e famoso Melodramma è di certo uno degli antenati: la tradizione del Maggio.

Siamo nell’Alto Appennino Reggiano, in una terra di valli scavate da fiumi e torrenti, prossime ai suggestivi Gessi risalenti al periodo triassico e circondate dai crinali che separano l’Emilia dalla Toscana. È proprio in una di queste valli, quella tra i torrenti Dolo e Secchiello che sopravvive (e vive!) una tradizione teatrale le cui origini si perdono nei culti arborei legati alle feste e ai riti primaverili, che prima dell’avvento del cristianesimo caratterizzavano gran parte d’Europa. La tradizione del Maggio, infatti, è antichissima. Lo stesso nome deriva dal ramoscello fiorito che, durante la primavera, era legato ai culti della feritilità ed era chiamato albero di Majo o Maggio. Da questi culti di rinascita (studiati e riferiti magistralmente dall’opera di Frazer, « Il ramo d’oro. Studio sulla magia della religione »1) nascono le canzoni di Maggio e il Maggio Lirico, a tema religioso o profano. È dal Maggio Lirico che si svilupperà poi il Maggio Epico-Drammatico, in particolare a partire dal XV secolo, influenzato dalle Sacre Rappresentazioni e incentrato in particolare sulle storie del Ciclo Carolingio, della Chanson de Roland e di Tristano.

Per arrivare in queste valli il Maggio ha attraversato il crinale, ed è stato probabilmente portato dai tanti pastori e lavoratori che durante i lunghi inverni andavano in Toscana a lavorare e poi, con la bella stagione, rientravano a casa, sui monti, e portavano con sé le storie dei cantastorie toscani in rime, ottave, quartine e sonetti. Da qui l’abitudine, in alcuni casi sopravvissuta fino ad oggi, di accompagnare alcuni avvenimenti importanti della vita del paese, come i matrimoni, i funerali o i compleanni, con un sonetto, una rima o una quartina.

Veduta del borgo di Costabona, nell’Appennino Reggiano
Fotografia gentilmente concessa da L.Fioroni

Dobbiamo immaginare che questi luoghi sono rimasti quasi uguali a loro stessi fino all’incirca al secondo dopoguerra, un lungo medioevo che finisce un po’ bruscamente intorno agli anni Sessanta del secolo scorso con l’arrivo della televisione, dell’intonaco a ricoprire il sasso delle pareti delle case e con l’arredamento in formica che rimpiazza l’ormai vecchio legno. Prima di tutto questo, il Maggio era uno dei pochi momenti durante i quali le persone dei vari paesi potevano ritrovarsi e festeggiare l’arrivo della bella stagione, la quale, nel ciclo del calendario agricolo significava, dopo un lungo inverno, raccolto e quindi cibo e significava dunque festeggiare la vita contro la morte. E così gli abitati di ciascun paese si ritrovavano in un bosco o una radura e passavano un pomeriggio ad assistere meravigliati alle avventure di Re Artù, Orlando, Lancillotto e Ginevra. Fino a prima della Guerra il Maggio si rappresentava in quasi tutti i paesi, con spettacoli che duravano lunghe ore e che iniziavano a inizio maggio e si protraevano fino alla fine di settembre per almeno tre domeniche al mese. La gente andava a piedi, anche da molto lontano, ad assistere alle rappresentazioni, era l’avvenimento dell’anno, e in questa parte del crinale per annunciarlo si saliva sul monte Penna e si suonavano i tamburi, di modo che tutte le vallate fossero avvisate che di lì a poco si sarebbe incominciato a suonare il Maggio2.

È proprio intorno agli anni Sessanta del Novecento che, a dispetto di una modernità imperante e di uno spopolamento che inizia a caratterizzare le zone appenniniche, in un piccolo borgo, Costabona (nel quale, si dice, il Maggio lo si cantava anche durante la guerra), alcuni abitanti si riuniscono e decidono di riprendere la tradizione e di farla rinascere, in un certo senso, dall’oblio del tempo presente. Nel 1962 nasce la società del Maggio Costabonese che, insieme alla Compagnia Maggistica Monte Cusna di Asta e a quella della Val Dolo, nate tutte tra gli anni Settanta e Ottanta, rappresenta ancora oggi, ogni anno, il Maggio Drammatico. Se fino a qualche anno fa anche la Toscana partecipava a questo rito comunitario e alla Rassegna Nazionale del Maggio che si tiene ogni anno a fine agosto, oggi sono rimaste le sole compagnie emiliane a continuare questa tradizione.

Quest’estate, per la prima volta, mi è capitato di assistere ad una rappresentazione del Maggio proprio nel piccolo borgo di Costabona. Il luogo della rappresentazione è una vecchia carbonaia incastonata in un boschetto al quale si accede da un sentiero in salita alberato e addobbato di bandiere, come a segnalare l’ingresso in un altro territorio. E infatti appena imboccato il sentiero si sente subito di entrare in un altro luogo e soprattutto si ha la netta impressione di stare animando un rituale collettivo che, nonostante i tempi non sembrino propizi, riesce a ritagliarsi uno spazio di meraviglia e di messa in scena coinvolgente ed emozionante.

La carbonaia o Campo di Maggio a Costabona

Nella carbonaia, chiamata anche « campo di Maggio », è allestita la scena: tre tendoni rossi a rappresentare i territori di Camelot, Avalon e Lyonesse, una scarna struttura in ferro che rappresenta la Grotta e un finto bosco proprio sopra la carbonaia dal quale, ad un certo punto della rappresentazione, per la gioia dei bambini e l’assoluto divertimento dei grandi, uscirà un grosso dragone. I protagonisti si posizioneranno ciascuno nel proprio territorio e a lato, circa a metà della scena, si piazzerà « l’orchestrina » di tre elementi: due violini e una fisarmonica. In un primo tempo la musica nel Maggio può sembrare un elemento secondario, perché interviene soltanto all’inizio, tra una scena e l’altra e verso la fine può accompagnare alcuni colpi di scena, per il resto è la sola voce degli interpreti quella che musica la scena. Eppure la musica ha un ruolo fondamentale e i maggerini (da queste parti vengono così chiamati gli interpreti del Maggio) lo sanno bene, serve infatti a dare lo stesso tono a tutti gli interpreti altrimenti ognuno rischia di alzare o abbassare troppo la voce. I soli altri elementi che si trovano sulla scena saranno due suggeritori, ovvero coloro che seguono gli interpreti durante tutto lo spettacolo e suggeriscono le battute, e i cantinieri, perché per cantare due o tre ore senza pause, all’aperto con polvere e vento, acqua o vino son pur necessari.

E poi l’orchestrina comincia a suonare e la fila ordinata di maggerini entra nel campo di Maggio e allora si abbandona velocemente il libretto e ci si lascia trasportare dalla scena. Non bisogna aver paura di perdersi nella trama, anche complessa, perché basta chiedere a un tuo vicino o a una tua vicina e questi sapranno raccontarti quello che sta accadendo e aggiornarti sulla vicenda. Che poi la vicenda suona un po’ di pretesto, perché il Maggio, come diceva un grande appassionato del luogo, lo psichiatra Benedetto Valdesalici «più che una forma di narrazione è una forma di sentimento»3. E il sentimento risuona già alle parole del Paggio, che in quest’occasione è un bambino: « Benvenuti a Costabona/dal silvestre paesaggio/nella Carbonaia il Maggio/come un tempo ancor risuona ». Nessuna sovrastruttura, nesun settarismo, si esce dal teatro melodrammatico senza alcuna nostalgia. Il boschetto, la carbonaia, la luce di agosto che filtra dai rami sono il teatro perfetto per narrare e mettere in scena le vicende di Ginevra e di Merlino.

I suggeritori che si aggirano tra i protagonisti, il cantiniere che dà da bere, i maggerini accaldati che ripassano le parti, in un angolo, togliendosi l’elmo e appoggiandosi a un albero per riposare, il pubblico che un po’ chiacchiera ma è estremamente attento alla vicenda e sgrida quelli che esagerano nel parlottare, tutto questo teatro nel teatro insomma, questa scena aperta, genuina, poco mascherata, contribuisce a far rimanere davvero popolare e condiviso il bisogno di narrare, di immedesimarsi, anche solo per qualche ora, in vicende lontane anni luce dal nostro tempo presente, ma sentite ancora come importanti.

Mi pare che il Maggio Drammatico riesca in un qualcosa che l’arte ha perduto da tempo, ovvero ritornare alle radici di quella « ars » latina o « téckne » greca che è abilità materiale e spirituale di progettare e costruire qualcosa. E sopratutto mi pare che riesca a fare dello spettatore non un semplice spettatore, ma una parte attiva e fondamentale dello spettacolo stesso.

Il Maggio rappresentato ques’estate era « Il drago di Avalon » scritto da Daniele Monti e diretto da una regia collettiva. Ho poi avuto la fortuna di potere intervistare l’autore del Maggio e Lorenzo Fioroni, uno dei registi, i quali sono stati ben contenti di condividere la loro esperienza ormai decennale (ma bisognerebbe dire generazionale) in fatto di Maggio Drammatico.

Daniele Monti è nato e cresciuto a Costabona, ed è lì che ritorna ogni fine settimana, come molti dei suoi compaesani che vivono e lavorano in città. La sua è una famiglia di maggerini da circa sei generazioni, suo nonno è stato presidente della Società del Maggio Costabonese e i suoi figli, nonostante siano ancora piccoli, sono già maggerini e interpretano volentieri il Maggio. Ci sentiamo al telefono in una giornata di fine agosto e Daniele mi racconta, con grande disponibilità, della sua passione per il Maggio.

Daniele Monti nei panni di Re Artù con il figlio Elia a Costabona il 15 agosto 2021.
I costumi di scena sono di proprità di ciasun maggiarino e in molti
casi sono costumi che risalgono alla fine dell »800 e che le donne
del paese ancora cuciono e aggiustano in casa.

Ho letto che il tuo primo Maggio risale al 1996 e lo hai scritto spronato da tuo padre. È stato naturale per te iniziare a scrivere Maggi o è stato difficile?

La mia è una famiglia di maggerini da generazioni, ho iniziato a dieci anni a cantare il Maggio e in effetti mio padre ad un certo punto mi ha spronato a scriverne uno e così, dopo una certa difficoltà iniziale sono riuscito a conluderlo. L’ho poi fatto leggere al Maestro Romolo Fioroni, che lo ha trovato molto interessante e mi ha incitato a proseguire. Romolo Fioroni, oltre ad essere poi divenuto il mio Maestro è stato un grande autore di Maggi e regista. Da allora oltre ad interpretare il Maggio ho continuato anche a scriverlo..

Come si scrive un Maggio? Qual è il tuo metodo di lavoro? Fai delle ricerche storiche, leggi molto?

Diciamo che io lavoro in modo un po’ diverso da come lavorava per esempio Fioroni, perché lui studiava molto le storie originali, il ciclo Carolingio, la Chanson de Roland, ma anche il teatro greco e romano, abbozzava una sceneggiatura e solo dopo passava a scrivere le quartine vere e proprie. Io invece lavoro molto di ispirazione e fantasia, non parto da una storia già costruita, ma scrivo direttamente delle quartine e vedo che cosa viene dopo, senza avere già in mente un finale.

Tutti i miei Maggi sono Maggi di pura fantasia, che restano certo all’interno dei temi della tradizione del Maggio Drammatico, ma non seguono la storia che siamo abituati a conoscere…ne « Il Drago di Avalon », per esempio, ho fatto diventare Re Artù un cattivo e questa è un’assoluta novità rispetto alla storia tradizonale. Lavorando in questo modo succede che ho la casa piena di quartine incompiute, di storie iniziate e che poi per un qualche motivo non sono andate avanti. In generale ci posso mettere anche molto tempo ad iniziare una scrittura, poi quando parto, vado come un treno, ma non è sempre così naturalmente, l’ispirazione segue le sue regole…al momento per esempio non sto scrivendo niente di nuovo, deve sbocciare l’ispirazione…

Nel corso di un’intervista il Maestro Romolo Fioroni dichiarava che prima di scrivere un Maggio bisogna sapere quali interpreti si hanno a disposizione, è così anche oggi?

Assolutamente sì. È molto importante conoscere gli interpreti ai quali poi andranno assegnate le varie parti. Il Maggio di quest’anno, per esempio, « Il drago di Avalon » l’ho scritto nel 2014 ed è stato possibile re-interpretarlo quest’anno perché gli interpreti erano gli stessi di allora. L’abbiamo scelto anche per via della situazione sanitaria attuale che non ci ha consentito di fare molte prove e scegliendo un Maggio che già conoscevamo è stato più semplice. Altri Maggi invece non possiamo metterli in scena proprio perché mancano gli interpreti.

I Maggi moderni sono molto diversi da quelli del passato?

La differenza principale forse è nel fatto che una volta le rappresentazioni duravano moltissimo, interi pomeriggi, mentre oggi un Maggio dura circa 2 ore e mezza, e sono più o meno 200 quartine. Di conseguenza la scrittura delle scene è differente, ci sono molti colpi di scena, tutto va più veloce e la scena è al primo posto. Gli interpreti devono essere bravi e sapere subito come muoversi e cosa fare, perché se una scena prima poteva durare anche venti minuti adesso non c’è tutto questo tempo. Per il resto il segreto del Maggio è sempre lo stesso, non essendoci una vera scenografia deve essere lo spettatore ad immaginarla, quindi diciamo che oggi come ieri nel Maggio lo spettatore è parte fondamentale. Noi maggerini siamo come dei menestrelli che narrano una storia. Tempo fa un grande studioso di cultura popolare, Giorgio Vezzani, ci paragonò ai Pupi siciliani e noi siamo andati anche a Palermo ad incontrare questa tradizione. Ecco noi siamo come dei Pupi, ma senza fili.

E il Maggio del futuro…?

Eh, è difficile dirlo…la modernità è complicata, noi a Costabona siamo sempre stati molto attenti ai giovani, abbiamo sempre fatto un piccolo Maggio interpretato dai bambini che viene messo in scena prima del Maggio vero e proprio e che ha avuto molto successo, ma a volte poi è difficile trattenere i ragazzi nelle compagnie quando si fanno più grandi. Al momento però devo dire che siamo una compagnia « giovane » e quindi spero proprio che almeno per un po’ la tradizione possa continuare…

Lorenzo Fioroni è figlio d’arte, suo padre infatti è il già citato Maestro Romolo Fioroni, e anche la famiglia di Lorenzo, come quella di Daniele, è una famiglia di maggerini da generazioni. Anche i figli di Lorenzo partecipano già al Maggio e, come mi dice quasi subito nel corso della nostra chiacchierata, lui fa di tutto per farli crescere leggendo dei libri e non lasciandoli ore davanti a uno schermo. Nato e cresciuto a Costabona, Lorenzo Fioroni ha avuto diverse esperienze nel mondo del teatro, in particolare nella compagnia del Teatro San Prospero di Reggio Emilia sotto la direzione artistica di Alberto Cottafavi, allievo di Ernesto Calindri dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano.

Lorenzo, puoi raccontarci in cosa consiste il lavoro del regista nella preparazione del Maggio?

Intanto oggi noi abbiamo una regia collettiva, che, mi rendo conto, è una cosa un po’ particolare, perché nel teatro di solito c’è un regista, che al massimo può avere degli aiuto-registi, ma difficilmente ci si imbatte in regie collettive. Diciamo che dopo la scomparsa del nostro storico regista, Gianni Bonicelli, abbiamo deciso di continuare a dirigere il Maggio in un gruppo di persone. C’è quindi una Commissione Artistica che ogni anno si riunisce, legge e valuta i libretti, decide quale rappresentare e assegna le parti. È un lavoro collettivo, che poi si sposa molto bene con lo spirito del Maggio, che è uno spettaccolo assolutamente collettivo, dove si lavora insieme e dove non prevalgono le individualità.

Lorenzo Fioroni interpreta Edipo durante il Maggio « Antigone »
di Romolo Fioroni. Fotografia gentilmente concessa da L.Fioroni

E infatti tu oltre ad essere regista sei anche maggerino e quest’anno ne « Il Drago di Avalon » interpreti Argo…

Sì, diciamo che nel Maggio ognuno ha una parte assegnata, ma se c’è bisogno o se c’è un’urgenza, ci si aiuta e tutti sono disposti a fare tutto. Oltre a fare il regista io ho spesso fatto il jolly, ovvero ho ricoperto i ruoli che per un motivo o per l’altro rimanevano scoperti. Nel Maggio si privilegia l’insieme e non le singole individualità e per questo i ruoli, all’occorrenza, possono anche cambiare. Allo stesso modo si privilegia l’insieme dello spettacolo e non la particolare abilità canora o recitativa, infatti possono esserci interpreti che hanno una bella voce, ma non è un requisito fondamentale, non è uno spettacolo che si basa sul bel canto o la recitazione perfetta, ma sulla visione d’insieme.

Quanto è importante il lavoro del regista nella costruzione del Maggio?

A Costabona oggi convivono due scuole di pensiero, una che prosegue le convinzioni e il lavoro di Gianni Bonicelli, il quale pensava che il regista nel Maggio dovesse intervenire il meno possibile. I maggerini, secondo Bonicelli, devono essere liberi di interpretare i loro ruoli, liberi nei gesti, nei movimenti e soprattutto liberi di improvvisare e non troppo guidati dalla regia. Io, forse anche per il mio passato nel mondo del teatro, penso invece che oggi il ruolo del regista dovrebbe essere più forte. Il Maggio di oggi è molto diverso da quello di una volta, è soprattutto molto più breve e di conseguenza la scena è più veloce. Se quindi prima una scena durava anche mezz’ora e i maggerini avevano il tempo di « saltarci fuori » in quale modo, oggi una scena dura qualche minuto e quindi tutti devono essere più pronti e presenti e questo comporta che ci sia una certa preparazione. Bisogna anche considerare che noi come compagnia di Costabona siamo molto organizzati, ci ritroviamo diverse volte durante l’anno per leggere insieme il testo e per provare.

Questa convivenza di visioni diverse riesce a portare avanti una tradizione che non è nuova ai cambiamenti, penso in particolare ai Maggi innovativi di tuo padre. Possiamo affermare, quasi paradossalmente, che il cambiamento è elemento necessario alla tradizione?

Certamente. Noi infatti non facciamo delle rievocazioni, delle parate, non portiamo avanti una tradizione, ma la facciamo vivere e per farlo, come si fa se si vogliono far vivere le tradizioni, ne facciamo una traduzione, che comporta necessariamente dei cambiamenti, delle infedeltà. La tradizione non deve rimanere uguale a sè stessa, se vuole vivere deve cambiare, adattarsi, vivere nel presente. Nel Maggio il cambiamento forse più importante è quello della durata degli spettacoli. Oggi sarebbe impensabile fare uno spettacolo di 6 ore. Nessuno resisterebbe tanto tempo, il pubblico non ha più la capacità di attenzione che poteva avere tempo fa, quando il Maggio era l’unico spettacolo che le famiglie contadine vedevano durante l’anno e quando gli esseri umani non erano ancora confrontati per lunghe ore a dispositivi elettronici.

Un altro cambiamento che ha caratterizzato il Maggio a partire dagli anni ’60 è quello della fedeltà ai testi e ad un codice morale che caratterizzava il Maggio di un tempo. Quando mio padre ha scritto « Roncisvalle » il suo primo Maggio, ha fatto una cosa che non era mai stata fatta prima, ha fatto morire un eroe. Nel Maggio gli eroi non morivano mai, il bene doveva sempre trionfare sul male, era una regola non scritta. E infatti il pubblico subito non accettò « Roncisvalle » e quando Orlando cadde morto in scena, tutti pensavano che in qualche modo si sarebbe salvato. Ma l’idea di mio padre era che non sempre il bene trionfa sul male, ma quello che è importante è che le idee del bene continuino a circolare, anche senza l’eroe.

Anche il pubblico di oggi e i maggerini stessi sono cambiati rispetto a quelli di un tempo. Una volta capitava che i maggerini non sapessero leggere e scrivere e spesso in scena sbagliavano le parole, perché non ne conoscevano il signifiacato. Allo stesso modo il pubblico di una volta non era così preparato come quello di adesso. Oggi il pubblico conosce le storie e infatti spesso critica certe « infedeltà » ai testi originali della tradizione. Ma a noi non interessa la tradizione filologica, viviamo nel solco della tradizione consapevoli del mutare dei tempi, abbiamo dunque cambiato alcune cose e ne abbiamo mantenute altre che ci sembravano necessarie alla continuazione del Maggio, come per esempio la circolarità del pubblico e la scena a 360°, la modalità espressiva e gestuale degli interpreti e le arie.

Come vedi il futuro del Maggio?

Credo che uno degli elementi centrali del Maggio di oggi sia quello emozionale e credo che fino a quando noi continueremo ad interpretarlo con passione ed emozione il Maggio continuerà a vivere e continuerà ad emozionare. Siamo anche molto attenti ai più giovani, ovvero cerchiamo di potarli nel Maggio fin da quando sono bambini. Quest’anno ne « Il drago di Avalon » il Paggio che annuncia la scena e le quartine iniziali sono animate dai bambini. Abbiamo inoltre visto che questo tipo di spettacolo funziona anche a teatro, siamo stati a Milano, a Parma, in teatri italiani d’eccellenza e il riscontro del pubblico è stato molto incoraggiante. Per certi aspetti il buio del teatro amplifica ancora di più l’emotività della scena, quindi anche questo tipo di esperienze non sono escluse in futuro, a patto però che non diventino le uniche, nel senso che il Maggio non può essere chiuso in un teatro, ma deve continuare a vivere all’aperto, in natura e soprattutto con un pubblico circolare, con l’azione a 360° e lo spettatore partecipe dentro la scena, una cosa che a teatro è spesso esclusa. Tempo fa uno studioso di arte popolare paragonava il Maggio alla Tragedia greca. In effetti per le persone di queste valli il Maggio è ancora un rito collettivo, una partecipazione circolare e totale ad un evento, uno spettacolo che nutre la fantasia e innalza l’animo e fino a che le persone del luogo continueranno ad animarlo il Maggio vivrà.

Elisa Veronesi

È possibile trovare maggiori informazioni sulle rappresentazioni del Maggio sul sito web del Comune di Villa Minozzo. Nel sito potete trovare le date delle rappresentazioni ed eventuali informazioni pratiche per raggiungere e soggiornare in questi bellissimi luoghi. Troverete inoltre gli orari di apertura del Museo del Maggio, un luogo nel quale sono racchiuse storie, costumi d’epoca e molte testimonianze.

https://www.comune.villa-minozzo.re.it/cultura-e-territorio/il-maggio-drammatico/

Per approfondire il tema del Maggio sono disponibili alcuni video, documentari e raccolte di Maggi nel ricchissimo sito della Professoressa Jo Ann Cavallo della Columbia University:

https://edblogs.columbia.edu/eboiardo/

1J.George Frazer, « Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione », Torino, Bollati Boringhieri, 2012

2Testimonianza ritrovata nel video-documentario « Il Maggio emiliano: ricordi, riflessioni, brani » girato dalla Professoressa Jo Ann Cavallo e che è possibile visionare a questo link: https://edblogs.columbia.edu/eboiardo/epic-maggio/il-maggio-emiliano/

3ibidem

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