Enzo Barnabà siciliano di origine, storico, africanista e scrittore è stato professore di francese in diverse scuole superiori in Italia e addetto culturale in molte ambasciate all’estero. Da oltre trent’anni vive a Grimaldi, ultima frazione italiana prima del confine italo-francese. È autore di diversi libri editi dall’editore Infinito, tra i quali “Morte agli italiani” sul massacro degli italiani ad Aigues-Mortes, alcuni libri che raccontano la Belle Époque sulla riviera ligure e la figura di Serge Voronoff e nel 2019 ha pubblicato “Il passo della morte. Storie e immagini di passaggio lungo la frontiera tra Italia e Francia”[1]. Grande conoscitore dell’Africa ha inoltre scritto un romanzo sul viaggio di una donna ivoriana “Il viaggio di Cunégonde” e pubblicato una raccolta di racconti “africani” insieme all’economista e studioso francese Serge Latouche.
Lo incontro tra Mentone e la sua abitazione di Grimaldi per parlare di alcuni dei suoi libri e della situazione che si vive al confine italo-francese.
“Il mio paese è Grimaldi e la mia città è Mentone” mi dice Enzo al telefono citando il suo amico Cédric Herrou, contadino della Vallée de la Roya noto per il suo impegno umanitario nei confronti dei migranti. Ed è proprio a Mentone che ci incontriamo in una soleggiata domenica di gennaio e pranziamo nella pizzeria dello chef stellato Mauro Colagreco, scartando tuttavia, da bravi italiani, l’idea di una pizza per pranzo e optando per altre opzioni del menu. Mangiamo al sole, chiacchieriamo come se ci conoscessimo da anni, mentre la verità è che io ho incontrato i libri di Enzo sì e no un mese fa e mi sembra ancora bizzarro essere qui a parlare con lui oggi. Lo ascolto raccontarmi le sue avventure italiane tra Parma, Belluno e Ventimiglia, rievocare gli anni Settanta a Reggio Emilia quando fu mandato dal PCI di Belluno a ritirare dei quadri nella sede reggiana del Partito, Palazzo Masdoni. Perché Enzo ha una parola e una storia “locale” per tutti, saluta le signore in veneziano, e, conoscendo le mie origini “reggiane”, rievoca i nomi dei morti di Reggio Emilia sulle note della canzone di Fausto Amodei e scherza sulla storica rivalità tra la città del Tricolore e la vicina Parma. Si potrebbe discutere con lui per ore degli argomenti più disparati, dalla storia all’antropologia, dalla linguistica alla geografia: uno storico, mi dice, deve conoscere bene il funzionamento e la storia del linguaggio, perché il linguaggio, se ne seguiamo le tracce, ci racconta moltissime storie.
Veduta da Mentone su Grimaldi, le falesie e il confine italo-francese
Ma soprattutto Barnabà è un vero conoscitore di questo territorio, nel quale da anni insegue tracce di passato e presente e che ora osserviamo insieme, a colpo d’occhio, dalla battigia: dritto davanti a noi si stagliano le falesie rosse di Grimaldi, con le grotte-abitazioni che risalgono al Paleolitico, in alto si intravede la torre di villa Voronoff, e più sopra il paese di Grimaldi, ultima frazione italiana prima del valico di frontiera di Ponte San Ludovico. Dietro di noi lasciamo il campanile di Mentone e a sinistra ritroviamo le cime che arrampicano il vallone San Luigi e dove si può vedere chiaramente quello che viene chiamato “passo della morte”, un sentiero che si getta a strapiombo su Mentone e nel quale, nei secoli, tanti che cercavano di attraversare il confine hanno perso la vita. È un territorio questo che Enzo abita e che prova anche a difendere per esempio dalle incursioni della speculazione edilizia che purtroppo ha appena avuto un triste via libera: sotto alle bellissime falesie bianche a strapiombo sul mare i monegaschi costruiranno presto residenze private di lusso, a conferma che ancora poco o nulla abbiamo capito dei tempi che viviamo e del disastro ambientale nel quale siamo immersi.
In auto varchiamo il confine e passiamo un’oretta seduti al sole a pochi passi dal mare nella piccola spiaggia dei Balzi Rossi per poi ripassare un altro posto di polizia e risalire verso Grimaldi superiore.
Ci fermiamo proprio sul ponte sul quale sono visibili le pietre d’inciampo con la scritta I e F a formare una specie di zeta sull’asfalto: da una parte c’è il posto di Polizia italiano e dall’altro la caserma francese. Quando i migranti vengono fermati in Francia è lì che passano la notte e la mattina, attraversando il ponte, vengono portati “di nuovo” nella caserma italiana. Questo è il triste rimpallo che migliaia di persone vivono ormai da anni.
Il via vai di gente al piccolo negozio di frontiera è continuo: comprare sigarette e alcolici qui è conveniente e così in estate si può trovare una coda che occupa quasi tutta la lunghezza del ponte. Nei pressi del negozio di alimentari Enzo mi mostra uno strettissimo canale che spesso viene utilizzato come sentiero dai migranti per tentare di oltrepassare la frontiera e che veniva utilizzato dagli italiani che cercavano di scappare in Francia durante la guerra e dagli ebrei che cercavano di fuggire dalle deportazioni.
I territori di confine sono valichi costanti che osservano nel corso dei secoli il rimodellarsi della storia, del paesaggio e il via vai di protagonisti diversi accomunati forse dal desiderio o dalla necessità di fuggire luoghi diversi per trovare lavoro, riparo, una vita diversa, non sempre migliore.
Risaliamo in auto e costeggiamo villa Voronoff, dalla strada si vedono bene le gabbie dove Serge Voronoff teneva le scimmie che utilizzava per i suoi esperimenti di chirurgia interspecie. Poco oltre incontriamo una famiglia di migranti che attende a lato della strada.
Il confine sul Ponte San Ludovico
Ne approfitto per fare qualche domanda a Enzo.
Nel tuo libro sul passo della morte racconti la storia di questi territori e un tempo presente complicato, con una frontiera che, nonostante Schengen, si riattiva brutalmente prima con le primavere arabe e poi con la guerra in Siria. Un tempo presente fatto di controlli e di morti (27 migranti morti accertati dal 2015 ad oggi), ma anche di persone solidali, di “disobbedienti” come li definisci, che non accettano di rispettare leggi che ritengono umanamente ingiuste e decidono di aiutare le tante persone che provano ad attraversare il confine per recarsi in Francia, penso a Cédric Herrou, Raphaël Krafft, Teresa Maffeis o i giovani attivisti di No Borders. Com’è la situazione oggi al confine?
Oggi la situazione è identica a prima, solo che le persone del posto sono meno solidali, perché quelli che prima aiutavano ora non aiutano più. Se nel 2011 dopo le primavere arabe l’emergenza durò un paio di settimane, dal 2015 le cose sono molto cambiate e l’emergenza è diventata sistematica con l’arrivo dei tanti profughi che fuggivano soprattutto dalla Siria. Qui a Grimaldi, come in tanti altri paesi si erano attivate situazioni di aiuto, solo che oggi le persone sono stanche, hanno capito che non si tratta di emergenza, ma di problemi strutturali e questo a lungo andare crea tensioni. Inoltre prevale una visione dualista del problema, da una parte quelli che pensano che siamo di fronte a un’invasione e dall’altro quelli che vedono una massa indistinta da aiutare ma non ne percepiscono la complessità, le storie necessariamente singolari e complesse, il fenomeno epocale che stiamo vivendo.
“Il passo della morte”
Fino alla fine dell’Ottocento non occorrevano documenti per attraversare questi luoghi e viene da pensare a come proprio in quell’epoca le cose iniziarono a cambiare malamente, con una tensione e un razzismo imperanti che avrebbero finito per farla da padroni in tutta Europa. Risale a quell’epoca il massacro dei lavoratori stagionali italiani ad Aigues-Mortes, una storia che sei stato il solo a ricostruire con metodo e con sguardo d’insieme e che letta oggi mi pare abbia ancora molto da dirci.
La prima volta che mi sono imbattuto nei fatti Aigues-Mortes ero studente all’università e facevo una ricerca sui fasci siciliani. Poi, anni dopo, mi ritrovai per lavoro a Nimes e lì iniziai a chiedere e a fare ricerche su quanto accaduto il 17 agosto 1893 nella cittadina di Aigues-Mortes, ma con mio grande stupore nessuno sembrava saperne nulla. Ebbi poi la fortuna di incontrare il sindaco Fontaine, nipote della boulangère che aiutò molti italiani a nascondersi e a sfuggire al massacro della folla inferocita. Da lì in poi ho fatto molte ricerche negli archivi lavorando sui due fronti, quello francese e quello italiano e mi pare che sia questa l’importanza della mia ricerca, il fatto che ho consultato gli archivi italiani e francesi e ricostruito i fatti di entrambe le parti. Una cosa mai fatta prima, che ha riportato alla luce dei fatti che erano stati dimenticati più o meno inconsciamente sia dalla gente del luogo, che da allora non ne aveva mai parlato, ma anche dalla politica e dai media perché nessuno si era mai premurato di informarsi davvero sui fatti e di analizzarli nella cornice dell’epoca. Un’altra cosa importante è la targa che sono riuscito a fare apporre nella piazza di Aigues-Mortes e che vuole ricordare “les justes” (i giusti), ovvero quelle persone che aiutarono gli italiani a fuggire e a nascondersi.
Il picco della Giralda e l’autostrada al confine italofrancese
Arrivati a Grimaldi passeggiamo per le piccole strade lastricate e ci incamminiamo verso casa. Gli alberi di limone e d’arance sono carichi all’inverosimile, le mimose sono tutte fiorite, ogni genere di aloe e rampicante si annida tra le pietre e i gradini, il tutto incorniciato in una vista che arriva fin oltre il Principato di Monaco, verso Saint-Jean Cap Ferrat.
– Vedi, quando arrivano qui, mi dice Enzo indicando il picco della Giralda, pensano che il più sia fatto, è lì il confine, e invece col cavolo, forse il peggio incomincia qui, le rocce ingannano, i sentieri si biforcano e di là c’è qualcuno che ti riprende e ti riporta al punto di partenza – .
Mi pare che ci sia un filo che lega molti dei tuoi libri, anche libri che apparentemente trattano di argomenti diversi e che appartengono a generi diversi, dal saggio storico al romanzo, dal racconto alla testimonianza. È un filo che è un margine, uno sguardo plurale, una postura che è una soglia dalla quale osservi il mondo, lo studi e ne ridai i contorni sfumati, complessi, senza però perdere di praticità.
A proposito di questo e di visioni complesse mi viene in mente che un giorno una ragazza africana alla quale avevo fatto leggere il romanzo “Il viaggio di Cunégonde” mi disse che era la prima volta che si rendeva conto che in Africa esistevano i buoni e i cattivi. Fino a quel momento quella ragazza era vissuta dentro a una visione che le avevano inculcato e che vedeva tutti gli africani bisognosi di aiuto e incapaci di vivere da soli. Quando ripenso ai racconti africani o a Cunégonde mi chiedo spesso se quello che ho fatto è stato semplicemente scrivere dei racconti o piuttosto scavare nell’archeologia di un mondo praticamente scomparso, quale è il mondo africano. Che era poi quello che si chiedeva anche Serge Latouche, quando parlava dei suoi racconti come di racconti di un mondo scomparso, un’Africa invasa dalla mondializzazione che si ritrova nuovamente in preda alla fuga di migliaia di persone. Una cosa importante e da non dimenticare quando si guarda al fenomeno dell’immigrazione oggi è il problema della colonizzazione dell’immaginario ovvero un’idea dell’Occidente e della modernità che spinge migliaia di giovani a partire, senza che si rendano conto che molto spesso si troveranno a sbattere contro muri di povertà, razzismo e violenza e scopriranno che quella modernità così tanto sognata non era quello che credevano.
Riprendo il treno verso casa che è già buio. La polizia francese ferma alla stazione di Garavan attende il prossimo treno in arrivo da Ventimiglia per fare il solito giro di perquisizione e verificare che la frontiera continui a fare il suo lavoro di moderna fortezza. Ripenso alle considerazioni che l’antropologa Annamaria Rivera scrive nella prefazione al libro “Il passo della morte”. La Rivera rilegge il tragico epilogo della deportazione di una parte della famiglia Voronoff ad Auschwitz accostandolo al trattamento subito dalle povere scimmie ingabbiate dal medico e utilizzate per gli esperimenti. Questa “intersezionalità tra specismo, razzismo e sessismo”[2] è una pratica di lettura molto attuale e interessante che ci mostra quanto i fenomeni di esclusione e di bestializzazione che continuiamo a perpetuare immersi come siamo in quel “ciclo maledetto” di cui parlava Lévi-Strauss, quel ciclo che ha visto l’uomo occidentale separare l’umanità dalle specie altre, dovrebbero portare a ripensare tutte le frontiere che abbiamo eretto, non solo sul piano umano, ma su mille piani.
Elisa veronesi
[1] È possibile trovare una biografia dell’autore e molti dei suoi libri sul sito dell’editore Infinito: Barnabà Enzo – Infinito Edizioni. Molti dei suoi libri, inoltre, sono tradotti in francese. L’edizione francese del libro sul massacro di Aigues-Mortes è possibile trovarla presso Éditalie éditions: Mort aux Italiens ! 1893 le massacre d’Aigues-Mortes – RADICI (radici-press.net). Il romanzo « Il viaggio di Cunégonde » è pubblicato in italiano per l’editore Siké e in francese per le Editions De l’aube, così come la raccolta di racconti scritta insieme a Serge Latouche pubblicata in italiano da Laterza con il titolo “Sortilegi” e in francese dall’editore belga Aden Belgique con il titolo “Le crocodile du Bas Congo”.
[2] Enzo Barnabà, “Il passo della morte. Storie e immagini di passaggio lungo la frontiera tra Italia e Francia”, Infinito edizioni, Formigine, 2019, p.13